Vorrei dire intanto che l’uso della prepotenza è contagioso. Intendiamoci: che la forza sia uno degli strumenti di risoluzione dei problemi è evidente. Però, che la forza diventi lo strumento essenziale per la risoluzione dei problemi è drammatico e l’affermarsi di una tale idea e di una tale pratica può facilmente contagiare tutti, e pure noi, che siamo così esposti all’azione anche di ciò che combattiamo.
A me pare che la possibile liquidazione di Saddam ponga il problema di chi abbia la responsabilità dell’esistenza di questi regimi. Prendersela solo con l’islamismo, con il fondamentalismo, senza fare i conti con tutte le responsabilità occidentali, è folle. I detentori del potere in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti ma non solo, invece di aiutare la democratizzazione dei paesi a regime autoritario, li hanno sempre utilizzati per i propri fini. Un paese andava bene, non già se era democratico, ma se serviva all’Occidente.
Quindi questi regimi sono anche figli dei nostri errori. Questo è uno dei problemi che dobbiamo riesaminare al più presto. Invece di spendere tanti soldi per tenere questi paesi come alleati dovremmo chiederci come dare un esempio. E l’esempio si dà intanto mettendosi in discussione, non pretendendo di insegnare tout court agli altri cos’è la democrazia. Credo che questo sia un punto fondamentale.
La seconda cosa che volevo dire riguarda il valore che hanno avuto le manifestazioni pacifiste in tutto il mondo. Hanno messo sul tappeto alcuni problemi che dovremo esaminare con calma e approfonditamente. Per ora mi sembra importante ragionare su cosa possiamo fare per ridurre la rigidità, l’egocentrismo dell’impero americano. Credo che lavorando sul serio e con franchezza, possiamo fare qualcosa per dare spazio alle forze, certamente molto numerose anche fra gli americani, che non condividono questo egocentrismo. Ma questo potremo farlo solo se andremo incontro a loro mettendo in discussione i nostri limiti e le nostre rigidità. Ho in mente due piccole frasi che possono dare un po’ di conforto e di speranza nel futuro dei rapporti internazionali, cioè nella correzione della situazione drammatica in cui ci troviamo oggi nei rapporti con gli Stati Uniti. La prima frase è quella pubblicata a tutta pagina dal più autorevole giornale francese quando sono state distrutte le Twin Towers di Manhattan. Le Monde ha titolato in prima pagina: “Nous sont touts Americains”. Questa era l’idea che tutti avevamo in quel momento. Tutti eravamo con l’America. Guardiamo adesso, invece, a che punto è l’isolamento dell’America... Ma quella frase resta significativa. L’altra frase invece è lontanissima nel tempo e mi viene dalla mia infanzia. Nel ‘17 l’America di Wodrow Wilson decise di entrare in guerra contro Germania e Austria e mandò un esercito in Europa. Quando le prime truppe americane arrivarono in Francia, a Cherbourg, il loro comandante scese a terra, in mezzo alla gente plaudente, salutò portando la mano al berretto e disse soltanto: “Nous voici, La Fayette!”. Era una frase che stabiliva un raccordo storico e io la trovo impressionante nella sua forza: quella di ricordare che anche la storia insegna molte cose.
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