Giovanni Sedioli è preside degli Istituti Aldini-Valeriani, Sirani di Bologna.

L’Aldini Valeriani è la scuola più antica di Bologna. Può raccontarcene la storia?
Intanto non è una scuola statale, ma è una scuola del Comune di Bologna, ancorché paritaria, e risale addirittura all’epoca preunitaria. E’ infatti nel 1844, vigente lo Stato Pontificio, che il Comune di Bologna, grazie ai lasciti di due cittadini, Giovanni Aldini e Luigi Valeriani, decide di aprire una scuola per l’insegnamento della tecnica. Scuola che, nel corso degli anni, subisce varie trasformazioni; la prima fase, che va dal 1844 al 1878, è volta sostanzialmente all’accumulo di esperienze, quindi si raccolgono materiali e l’Aldini comincia a caratterizzarsi come scuola legata al fare, mutuando i propri schemi da modelli francesi, anche se all’inizio si rivolge solo ad artigiani, quindi ad adulti. Poi c’è un periodo, dal 1869 al 1878, in cui rimane senza studenti e diventa solo un gabinetto di fisica applicata; infine, nel ’78, con l’apertura della Scuola per Arti e Mestieri, comincia a configurarsi sulla base di un modello simile a quello attuale, seppur conservando una larghissima autonomia. Ancora la scuola del fare, quindi, con un mix di materie teoriche e materie pratiche; una scuola che insegna a lavorare, facendo apprendere i principi generali delle scienze applicate, insieme naturalmente all’italiano e alla matematica. Poi, dal 1913, comincia un processo che l’avvicina sempre di più ai modelli nazionali, fino a che nel ’36 si arriva alla legalizzazione dell’istituto (oggi infatti è una scuola paritaria). Da quel momento in poi l’istituto Aldini è perfettamente integrato nel modello funzionale della scuola tecnica italiana; questo però non ha condizionato il suo essere fortemente legato al territorio: l’Aldini-Valeriani è la scuola dei bolognesi (a tal punto che il suo nome viene tradotto in dialetto) e questo principalmente per due motivi. Innanzitutto ha fornito quella formazione tecnica che ha consentito il decollo industriale della città: quasi tutta la leva tecnica e imprenditoriale che fra le due guerre e soprattutto nel secondo dopoguerra ha dato vita al boom industriale bolognese è passata da qua. E poi per Bologna questo luogo ha costituito un importante elemento di motore sociale. Questa infatti è stata la scuola delle classi deboli (non delle debolissime: soprattutto nei primi tempi è stata la scuola dell’aristocrazia operaia bolognese, solo in un secondo tempo è arrivata la campagna), e qui si è avviato e promosso quel processo di sviluppo che ha consentito di formare una leva tecnica che è passata, nel giro di una generazione, dal lavoro dipendente all’imprenditorialità. Non è un caso infatti che i settori che contraddistinguono ancora Bologna a livello internazionale siano quelli delle macchine automatiche e della motoristica. La Minarelli, la Vm di Cento, la Maserati, che è nata qui, vedono al suo interno ampie generazioni di tecnici Aldini. Parliamo quindi di una scuola che si è anche conquistata un suo prestigio.
In un processo di progressiva liceizzazione dei percorsi scolastici, anche a fronte di una svalorizzazione di scelte diverse, negli istituti tecnici rischiano di finirci quelli che non possono andare nel liceo…
E’ una tendenza molto marcata, che noi pure registriamo. L’aspettativa familiare, in una società come quella bolognese, sostanzialmente ricca, non è quella che il figlio vada in una scuola tecnica, e quindi a lavorare, ma che vada all’università attraverso un percorso liceale. Infatti oggi gli istituti tecnici bolognesi hanno difficoltà a mantenere un livello minimo di iscrizioni. Noi siamo riusciti a mantenere le quote di mercato, chiamiamole così, ma negli altri istituti tecnici bolognesi c’è stato un calo di più del 10% di iscrizioni. Ci sono anche degli istituti che hanno dovuto chiudere. L’istituto commerciale Marconi non esiste più, l’istituto commerciale Fanari è stato aggregato a un istituto professionale, l’istituto professionale Fioravanti, di lunga tradizione -è del ‘36- è al limite dei numeri dell’autonomia. Quindi questa tendenza di fuga dal tecnico a favore del liceo è innegabile. Credo però che il tema vero, il nodo da sciogliere riguardi quello che si vuole fare, dove si vuole andare. La domanda da porsi è: che cosa ci si aspetta che produca il sistema scolastico-formativo che si mette in piedi? Perché se l’ipotesi consiste nel vedere nel lavoro solo l’aspetto addestrativ ...[continua]

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