Ci piacerebbe riprendere il racconto a dieci anni di distanza dalla vostra prima intervista a Una Città. Con il circolo di Legambiente di Seveso in questi anni avete proseguito il lavoro sul territorio, dando vita a progetti e associazioni. Potete raccontarci?
Lele Galbiati. Ne abbiamo parlato proprio recentemente di quell’intervista. All’epoca eravamo un gruppo di uomini e donne, tutti di Legambiente, che avevano preso il coraggio di agire su un territorio che era stato violato, negato, e che veniva da tutti considerato pericoloso. Anche il titolo, Il Bosco delle Querce, faceva riferimento a quella violazione, perché il Bosco, il parco sorto sul terreno dell’incidente di trent’anni fa, bonificato dall’Icmesa, era il luogo che dieci anni fa meglio di tutti la rappresentava simbolicamente. Era un luogo chiuso, vietato, che però aveva sicuramente a che fare con la nostra storia, perciò avevamo deciso di riappropriarcene, di riconquistarlo.
Nel tempo, poi, è sorta l’esigenza di allargarci, di ampliarci, di cercare nuovi protagonisti, di una generazione successiva rispetto a noi che possiamo considerarci i fondatori di questa esperienza. Così sono arrivati nuovo attori, che hanno avuto il pregio di alzare il tiro, qualificando l’intervento e portando altre motivazioni, altri disegni.
Ora abbiamo di fronte un appuntamento importante, il trentennale dell’incidente dell’Icmesa ed è anche per ricordarlo che, a giugno, la Consulta regionale dei circoli di Legambiente della Lombardia si terrà a Seveso.
A parte Lele, voi come siete arrivati all’associazione ?
Max Fratter. Io sono iscritto al circolo Legambiente dal‘92-’93 e lì ho incontrato Lele, Laura, Gemma, Marzio e insieme abbiamo cominciato a ragionare sul significato da dare al Bosco delle Querce, che nel ’96 è stato aperto al pubblico.
Io abito a 50 metri dal parco ma fino al 2000 non vi ero mai entrato. Cosa me lo impediva? Il fatto è che per me era un non-luogo, in quanto privo della propria origine. Era, sì, il parco nato sul luogo dell’incidente ma recava un’assenza totale di memoria rispetto a quell’avvenimento, che comunque è stato l’accadimento più importante nella storia contemporanea della nostra comunità.
Nel 1994 inizia la mia avventura di studente lavoratore e mi iscrivo a Storia. Mi dico: non so se finirò il percorso di studi ma se ci riesco la mia tesi dovrà essere sulla storia dell’Icmesa. (Ricordo, tra l’altro, che io volevo farla partire dal ’76; fu Gemma a suggerirmi di farla partire dal 1945, dicendomi: “Scusa Max, la fabbrica esisteva anche prima!”. E’ a tutt’oggi l’unica ricerca in materia che parte dalle origini della fabbrica, perché la sterminata bibliografia su Seveso parte immancabilmente dal 10 luglio del 1976).
Parallelamente inizia anche il mio percorso con Legambiente, mi avvicino al gruppo, iniziamo a fare delle attività al Fosso del Ronchetto e diventiamo, per così dire, superlocal, nel senso che tutte le attività progettate vedono come protagonista proprio il territorio di Seveso.
Nel 2000 mi laureo e finita quell’avventura ne inizia una nuova. La mia tesi, intitolata “Il ponte della memoria”, riesce a uscire dai confini strettamente accademici per diventare materia di un progetto di Legambiente Seveso, insieme a Legambiente Lombardia.
Accadono anche delle cose che creano un terreno fertile per questa possibilità. Ad esempio, nel ’96, per l’apertura del parco c’è un recital di Gene Gnocchi. Allora io, come cittadino, scrivo una lettera a Il Cittadino, il settimanale locale più venduto, dove dico che non ho niente contro Gene Gnocchi, che anzi mi piace molto, ma non ritengo opportuno, per una forma di rispetto, tenere quell’evento nel Bosco delle Querce. Soprattutto non mi piace l’idea che il parco possa diventare una specie di luogo dei balocchi dove fare la sagra, la fiera paesana.
Nel frattempo, alle elezioni comunali del ‘98, noi sosteniamo come candidato sindaco Clemente Galbiat ...[continua]
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