Stefano Maffulli è il direttore esecutivo di Open Source Initiative.

Prima di entrare nella questione dell’intelligenza artificiale in relazione al software libero, puoi spiegare cos’è l’open source iniziative?
L’Open Source Initiative è nata 25 anni fa, praticamente qualche giorno dopo che l’espressione “open source” cominciasse a essere utilizzata per identificare quello che fino a quel momento in inglese veniva chiamato “free software” e in italiano software libero. Come sappiamo il termine “free” in inglese è ambivalente, può significare sia gratuito che libero.
Il concetto di software libero è più antico del concetto di open source, viene dalla fine degli anni Settanta, inizio degli anni Ottanta, ma fanno parte entrambi di un unico movimento, di un unico ideale, ovvero che l’utente di un computer, di un ambiente digitale possa essere in grado di controllare la macchina e di usare il software nel senso di modificarlo, distribuirlo, farne copie.
Negli anni Novanta questa ambiguità tra il “free as in freedom” e il “free as in beer” è andata intensificandosi. Un gruppetto di persone ha allora cominciato a ragionarci sopra ed è venuto fuori questo termine “open source”, letteralmente sorgente aperta, che enfatizza appunto l’aspetto di un codice liberamente disponibile. È nata così la Open Source Initiative, la cui missione è ancora oggi quella di mantenere e tenere aggiornata, per conto della comunità, la definizione di open source. Si tratta, nel concreto, di dieci punti che vengono utilizzati per valutare le licenze legali che vengono assegnate al software quando viene distribuito. In sostanza, lo sviluppatore scrive il software e poi gli assegna una licenza, cioè delle condizioni di utilizzo, distribuzione e uso. Tali condizioni vengono revisionate dall’open source initiative in un processo aperto e partecipato; una volta approvate finiscono nella lista di licenze approvate. In questo modo c’è una garanzia che quel software è a disposizione con quelle libertà, cioè con la possibilità di essere usato senza restrizioni, modificato, redistribuito, ecc. Questo semplifica in maniera notevole l’accesso alla compilazione di nuovo software.
In questi 25 anni com’è cambiato il vostro impegno?
Riguardo le licenze, fondamentalmente continuiamo a revisionarle in maniera costante. Quelle più interessanti uscite negli ultimi anni riguardano la crittografia. Negli anni passati forse le sfide più importanti sono state poste dall’introduzione del cloud e dell’iPhone fondamentalmente. Con queste nuove tecnologie si sono affacciati sul mercato nuovi modi di consumare, distribuire, usare software. Per esempio, il software utilizzato sull’iPhone può essere distribuito soltanto dal distributore originale. Cosa vuol dire questo? Che se un software viene distribuito con una licenza che prevede il rilascio di sorgente e istruzioni per la compilazione, io non sarò mai in grado sull’iPhone di ricompilare quel pacchetto e installarlo sul mio dispositivo. Detto in altri termini, l’iPhone è un ambiente bloccato: non ci puoi caricare il tuo software sopra, devi sempre passare per l’Apple store. Ecco, non c’è stata una vera e propria discussione della comunità su questo tema.
Ma non c’è solo questo. Pensiamo alle applicazioni che nel loro funzionamento prevedono una combinazione di applicazione locale e dipendenza online. Prendiamo Google Photo: quando scatti una foto, questa automaticamente viene trasferita nell’archivio online di Google. Lì poi trovi tutta una serie di opzioni a disposizione: l’indicizzazione, la geolocalizzazione, l’individuazione del soggetto della foto... tutte funzioni che stanno dentro il cloud e che si affidano anche all’intelligenza artificiale. Data una tale situazione, qual è la versione sorgente di Google Photo? È complicato, è una questione difficile da districare...
La revisione delle licenze è il core delle attività che svolgiamo, ma poi ci occupiamo anche di altro. Abbiamo un programma di advocacy e di sensibilizzazione verso chi scrive leggi e normative. Negli ultimi anni, si è infatti intensificata la necessità di normare lo sviluppo e l’uso di software e in questi regolamenti, che sono scritti dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna ecc., spesso si trova una postilla che tende a escludere il software open source. Noi cerchiamo pertanto di aiutare le organizzazioni che fanno lobby affinché vengano scritte normative coerenti con gli ideali delle comunità open sou ...[continua]

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