Guido Crainz è docente di Storia contemporanea e di Storia del giornalismo presso l’Università di Teramo. Il suo ultimo libro è Storia del miracolo italiano, pubblicato dalla Donzelli.

Nella ricostruzione che fai dei primi anni del dopoguerra, in particolare dei primi anni Cinquanta, oltre ad attingere parecchio dalle fonti giornalistiche dell’epoca, metti ben in evidenza il ruolo svolto sin da allora dalla stampa democratica, in particolare da un quotidiano come Il Giorno e dal periodico L’Espresso…
Secondo me quello della stampa è stato un ruolo effettivamente straordinario. Il Giorno me lo ricordavo vagamente, essendo io nato nel ’47, ma ebbe un ruolo di rottura clamoroso. Dal punto di vista politico rompeva infatti la contrapposizione tra l’Unità e il Corriere della Sera, praticando un giornalismo straordi-nario. La cosa stupenda di quei giornalisti era la voglia vera di conoscere il paese. In quegli anni nel giornalismo, così come nella cultura e nel cinema, c’era la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un paese non solo protagonista di un incredibile sviluppo economico, ma anche fonte di grandi energie in altri settori della società. Gli articoli di Giorgio Bocca di quegli anni sono veramente belli, ma tutto Il Giorno ha questa capacità di interrogarsi e di raccontare l’Italia. Anche l’Espresso, d’altra parte, pur in un’ottica più "politica", ha una funzione rilevante, mentre esce un po’ ridimensionato il ruolo de Il Mondo, che indubbiamente assume una posizione di denuncia del centrismo, evidenziando la necessità di un suo superamento, ma sul piano culturale rimane, in un certo senso, arretrato. Lo stesso Scalfari nel suo libro La sera andavamo in via Veneto, quando ricorda quello che si leggeva, si mette le mani nei capelli: come è possibile che nel momento in cui si stava scoprendo la sociologia, l’antropologia, fossero ancora fermi a Croce? Eppure il Mondo, per l’appunto, era fermo all’idealismo crociano. Ecco, tornando alla tua domanda, a me sembra che quella esperienza giornalistica sia stata fondamentale e proprio Bocca, recentemente, ha ricordato come l’allora direttore Italo Pietra li mandasse in giro per la penisola per raccontare l’Italia contadina, e come invece venisse alla luce un processo d’industrializzazione impetuoso. Tra questi giornalisti c’era chi, come Segre, aveva parlato della famosa inchiesta di Fofi sull’immigrazione meridionale, prima ancora che fosse uscita. Lo stesso Bocca citò il libro di Montaldi Alasia -Milano, Corea- il giorno stesso che uscì in libreria. Un altro nome che posso fare è quello di Enzo Forcella. In definitiva emerge l’esistenza di una grande capacità di lettura, e comprensione, dei profondi mutamenti in atto, un’attenzione costante al dibattito intellettuale in corso, ed infine il gusto dell’inchiesta di denuncia. Sul Giorno compaiono i servizi sulle sofisticazioni alimentari, così come sui pesticidi, e stiamo parlando di anni come il ’59, il ’60, quando ancora l’ecologismo è lontano. Due cose comunque mi hanno colpito della vicenda del Giorno. La prima -vicenda piuttosto impressionante- è che fu il governo in seduta plenaria a decidere il licenziamento, nel 1959, dell’allora direttore Baldacci. L’altra riguarda papa Giovanni XXIII. La scelta, inaspettata, di una persona praticamente sconosciuta ai maggiori vaticanisti dell’epoca, fu un fatto clamoroso. Negli articoli sui giornali Giovanni XXIII viene presentato come un Papa di transizione. Ebbene il titolo del Giorno, a tutta pagina, è: "Abbiamo il Papa della pace", mentre in seconda pagina compare un articolo di Madeo, grande giornalista di quegli anni, dal titolo: "Abbiamo il Papa buono". Con "Papa della pace" e "Papa buono", viene raggiunta immediatamente la sintesi di quello che poi caratterizzerà il pontificato di Giovanni XXIII, e questo prima ancora che l’azione del nuovo Papa si fosse concretizzata. Se confrontiamo queste capacità, questa lucidità con la situazione odierna, c’è da rabbrividire. Sono convinto che se fra vent’anni uno storico volesse capire l’Italia di oggi troverebbe delle difficoltà considerevoli.
Vale la pena ricordare, a proposito di licenziamenti di giornalisti, l’episodio di cui fu vittima, ai tempi della protesta contro il congresso missino a Genova, Enzo Biagi, allora giornalista di Epoca, per aver scritto esplicitamente che non necessariamente chi protestava contro i fascisti era comunista. Per questa presa di posizione fu licenziato immediatamente.
Bia ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!