Hai iniziato a insegnare negli anni ’70. Da qualche tempo nella vostra scuola avete avviato un’esperienza di didattica differenziata. Puoi raccontare?
Sono 35 anni che faccio la maestra elementare, ho finito le magistrali nel luglio del ‘72, nel dicembre dello stesso anno ho fatto il concorso e a settembre dell’anno successivo ero già nel mondo della scuola. Avevo 19 anni, son partita con un anno di incarico e poi sono entrata in ruolo. Ho sempre fatto l’insegnante elementare e devo dire che, nonostante siano passati tanti anni, la passione è aumentata.
Dopo qualche esperienza fuori città, dal 1984 lavoro in questa scuola di Gardolo, nella periferia di Trento. E’ una zona che ha visto un aumento demografico consistente, soprattutto per la presenza di edilizia popolare o agevolata, che attrae anche gli stranieri, che qui trovano prezzi accessibili. Nelle prime classi il 25% degli alunni è straniero. Evidentemente ci sono anche problemi di convivenza, come in tutte le zone di periferia, perché parlare di accoglienza, solidarietà, ecc. è facile, ma chi vive nelle case popolari spesso deve affrontare problematiche, tensioni, che non vanno sottovalutate. L’amministrazione comunale e provinciale, anche attraverso le associazioni, il volontariato, sostiene la scuola. L’autonomia della Provincia qui conta. Lo vedo quando arriva qualche insegnante da altre parti d’Italia, soprattutto se viene dal Sud Italia, dalla Calabria, dalla Campania, rimane allibito per il sostegno economico, organico, di strutture, di aiuti, che abbiamo. Poi tutto è migliorabile, tutto è perfettibile, però sicuramente, rispetto al resto dell’Italia, abbiamo un buon livello di sostegno.
L’esperienza della didattica differenziata è nata dalla constatazione, negli ultimi 20 anni, che la composizione delle classi era sempre più eterogenea. In ogni classe noi oramai abbiamo tre o quattro livelli. Fino a quattro o cinque anni fa c’era il problema della competenza linguistica degli stranieri, ora iniziamo ad avere immigrati di seconda generazione, che hanno frequentato la scuola materna e pertanto hanno una buona conoscenza della lingua italiana, però casomai la situazione socio-economica determina comunque una condizione di disagio anche dal punto di vista scolastico, quanto meno di deprivazione, di poca conoscenza, di mancanza di rapporti, stimoli e quant’altro. Allora noi ci siamo trovati in questi ultimi anni con classi molto numerose, 25 alunni, con, all’interno appunto livelli di capacità diversi. Su questo, con il gruppo di insegnanti con cui lavoro, abbiamo iniziato a confrontarci. Nessuno di noi era più disposto a mettersi in cattedra e fare la sua lezione, dopodiché chi capisce, capisce, e gli altri pazienza. Ho sempre pensato che l’obiettivo dell’insegnante fosse quello di portare avanti, il più possibile, ognuno dei suoi alunni. Pertanto, se io ho un bambino che in prima elementare arriva con un disagio totale, alla fine della prima elementare deve aver raggiunto un obiettivo, delle competenze accettabili, di conoscenza, di comportamento. Così come dovrà aver ottenuto dei risultati il ragazzino più dotato. Sui vari livelli, che sono differenziati, tutti devono avere dei progressi. Altrimenti vuol dire che non ho lavorato in modo adeguato.
Puoi spiegare concretamente come funziona questo lavoro su diversi livelli?
Già da parecchi anni, coi miei colleghi, dopo alcuni mesi di lavoro, sottoponiamo le prime classi a un test. Per dire, quest’anno siamo partiti con 75 bambini (tre prime elementari di 25 bambini), a gennaio abbiamo fatto un test per verificare il loro livello di competenze rispetto alla lingua, alla conoscenza delle lettere. Dopodiché, con l’aiuto di personale competente (l’Asl trentina mette a disposizione un logopedista e poi c’è una persona che si occupa del disagio), noi insegnanti abbiamo verificato le prove dei bambini e abbiamo operato una prima suddivisione. Su 75, 60 erano perfettamente nella norma; 15, forse anche una ventina, presentavano alcune problematiche, qualcuno rispetto ai suoni, qualcuno rispetto al riconoscimento delle lettere. Lì è stato deciso un primo intervento e devo dire che alla fine dell’anno la metà era rientrata.
Dopodiché, a livello di interclasse, i 75 bambini seguono percorsi differenziati. Per dire, quando svolgiamo un programma, per i bambini più in difficoltà, prepariamo una semplificazione. Pert ...[continua]
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