Costanza Bertolotti, nata a Mantova, laureata in storia all’Università di Pisa con una tesi su Danilo Montaldi, è dottoranda in Antropologia, storia e teoria della cultura presso l’Università di Siena. Sono in corso di pubblicazione i suoi contributi su Montaldi. Ha curato recentemente il volume di Luisa De Orchi Lettere di una garibaldina, Venezia, Marsilio, 2007.

Qual è il contributo dato dalla costituzione dell’Archivio Montaldi alla conoscenza di Danilo Montaldi?
La tradizione critica e storiografica ci ha restituito due immagini lontane e divergenti di Danilo Montaldi: da una parte il militante rivoluzionario che si fece guidare in ogni attività dalla propria passione politica, dall’altra il ricercatore che compì studi di carattere pionieristico nel campo della storia orale del sottoproletariato e degli emarginati e che fu autore di opere apprezzate sia dal punto di vista sociologico che da quello narrativo. Solo l’analisi dei documenti da poco consultabili nell’Archivio Montaldi ci ha messo in grado di risolvere questa dicotomia, perché in effetti Montaldi ebbe una personalità schiva e volutamente sfuggente a qualsiasi etichetta, restia al coinvolgimento in iniziative politiche e di ricerca nelle quali non si riconoscesse pienamente, e questo tratto caratteristico, che emerge in moltissime delle sue lettere, si ritrova anche analizzando la sua biografia politica e intellettuale. Nacque nel 1929 a Cremona e nel 1946 abbandonò il liceo.
Lo stesso anno si concluse la sua breve esperienza nel Partito comunista, da cui uscì in dissenso con la politica di unità popolare; cominciò allora un originale percorso di formazione in cui le letture e gli stimoli intellettuali non contarono meno delle relazioni affettive col padre Giovanni e i suoi amici cremonesi, tra i quali si ritrovano sia degli uomini della leggera che alcuni dei militanti politici di base di cui poi raccoglierà le storie di vita, quindi alla base dei libri c’è un fondamentale legame affettivo con questi vecchi che gli fecero da maestri e soppiantarono gli insegnamenti scolastici imprimendo in lui una traccia indelebile.
La loro cultura anarchica costituisce un presupposto innegabile alla critica che poi Montaldi rivolgerà al Partito comunista e alla strategia della democrazia progressiva, ma consentono anche di rendere ragione degli interessi sociologici di Montaldi, quindi della sua originale attenzione per il mondo della leggera e degli emarginati, di cui i critici, pur rilevandone l’originalità, non si sono mai peritati di ricercare le origini. Ecco, credo di poter affermare che le origini siano da ricercare in questo circolo di amici del padre.
Chi era Giovanni Montaldi?
Era approdato all’anarchia da posizioni di acceso interventismo che lo avevano portato ad arruolarsi volontario nella Grande Guerra. Alla sua conversione non dovettero essere estranei gli eventi drammatici dell’ottobre 1917 con la disfatta di Caporetto: fu allora che scrisse una lettera a un compagno anarchico ligure che venne censurata e gli costò la condanna a un anno di reclusione per disfattismo. Tornato a Cremona dopo aver scontato la pena a Gaeta, prese subito contatto con quello che lui stesso definì “lo sparuto gruppo anarchico cremonese”. Dopo l’avvento del fascismo, nel periodo della clandestinità, collaborò strettamente con il Partito comunista a cui si iscrisse per un brevissimo periodo immediatamente successivo alla Liberazione. Uscì dal Pci già nel 1946, in dissenso sia con la politica di unità popolare sia, più in generale, con la degenerazione borghese e l’irrigidimento burocratico del partito. Insomma, era rimasto un anarchico individualista, rifiutava l’idea di una struttura gerarchica organizzata che si sovrapponesse alla classe, restava fedele alla pratica della propaganda del fatto, l’atto sovversivo individuale e isolato, che nella storia dell’anarchismo assunse svariate forme, dalla professione di fede nei processi fino ad atti più eclatanti di terrorismo, all’esproprio proletario e al furto.
Già Bakunin ravvisava nel brigante l’eroe del popolo, l’instancabile oppositore delle istituzioni, delle autorità costituite e della morale borghese. Questo dà ragione della vicinanza degli anarchici cremonesi al mondo della leggera cremonese, cioè il mondo degli irregolari, dei ladri, degli sbandati. Come dicevo l’eredità dell’anarchismo antiorganizzatore e antiautoritario mutuata dal padre spiega sia la critica di Danilo Montaldi alla st ...[continua]

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