Franco Volpi insegna Filosofia all'università di Padova. E' traduttore e curatore di molte edizioni italiane delle opere di Heidegger, Schmitt, Jünger.

L’Europa ed il mondo vivono anni turbolenti. Per molti siamo al compimento del nichilismo. Lei cosa ne pensa? Da questa situazione si potrà uscire?
Per rispondere a tale domanda è indispensabile precisare il senso del termine nichilismo. Esso va inteso, a mio avviso, nel senso che in tutti i pori della discussione contemporanea è ormai penetrata la convinzione, che Nietzsche per primo diffonde nella cultura europea, se­condo la quale i vecchi quadri di riferimento, i valori considerati supremi, non hanno più carattere vincolante. Ora, tale convinzione sembra corrispondere alla effettiva situazione del mondo d’oggi. Ma, una volta data per valida la descri­zione della situazione presente in termini di nichilismo, per vedere se ci sia una via d’uscita da tale situazione, oppure se essa costituisca una forma di vita ormai cristallizzata, è indispensabile dare un’anamnesi di questo stato, dunque è necessaria una individuazione delle cause di questa situazione patologica. Qui le opinioni divergono: nella coscienza critica del nostro tempo, nei pensatori contemporanei che hanno tentato di misurarsi con questo problema, Husserl e Heidegger ad esempio, ve­diamo che ci sono anamnesi diverse della malattia nichilistica. Husserl, ne “La crisi delle scienze europee”, ci dice che la perdita di senso causata dallo sviluppo della scienza e dalla razionalizzazione moderna è dovuta al fatto che abbiamo smarrito l’ideale della fi­losofia e della scienza così come i Greci, per primi, l’avevano fondato. E avendo la cultura occidentale tradito quell’ideale, essa si è trovata in un’impasse che ha portato alla crisi le scienze europee, le quali hanno perso il loro significato per la vita, con tutte le conseguenze che da questo derivano. Per Heidegger la diagnosi è diametralmente opposta. Egli dice che la situazione attuale, in cui domina la colonizzazione scientifica e tecnologica del pianeta, è dovuta pro­prio all’inveramento dell’ideale della scienza e della tecnica che i Greci per primi posero. Già da questi esempi risulta chiaro che una risposta alla domanda sullo statuto e sull’esito del nichilismo dipende dalle cause che noi consideriamo come responsabili di questo stato. Recentemente si è sviluppato inoltre un dibattito che si incrocia con la diagnosi del nichilismo, ed è il dibattito che intende riflettere su quale sia il punto in cui ci troviamo nella storia, al di là del fatto che lo qualifichiamo come nichilistico, come patologico o come salutare. Ci si chiede, in particolare, se al punto in cui è arrivata oggi la storia essa abbia ancora in sé la possibilità del nuovo, oppure se la “mobilita­zione totale” in cui viviamo sia arri­vata ad uno stato che non può che continuare così come sta funzionando ora; un stato, quindi, nel quale la mobilitazione totale di­venta stato permanente, quindi stasi totale. E’ la tesi della cosiddetta fine della storia, che non significa il finire degli eventi della storia, ma l’instaurazione del movimento come stato permanente. E’ un dibattito diverso rispetto a quello sul ni­chilismo, ma che si innesta sulla stessa domanda.
Ma questo dibattito non presuppone una distanza dal nichilismo che forse noi non possiamo ancora avere? Una sorta di “fine del nichilismo”?
Credo che non sia per noi possibile distanziarci dal nichilismo; credo, anzi, che la dimensione nichilistica si sia allargata ed estesa ovunque, attraverso varie metamorfosi. Noi, forse, non abbiamo più il nichilismo descritto da Nietzsche; abbiamo però un nichilismo che è presente in maniera proteiforme anche là dove in superficie non appare, ad esempio dove governano l’ordine e l’organizzazione: al di sotto di questi fenomeni, che apparentemente non hanno niente a che fare con il nichilismo, possiamo ve­dere un’anima nichilistica molto più pervicace e radicata di quanto si possa a prima vista supporre. Tuttavia, mentre fino a poco tempo fa, nel momento in cui si è preso coscienza della lucidità e della portata della diagnosi nietzschiana, ci si beava in qualche modo del nichilismo, anzi se ne faceva l’apologia -addirittura si sosteneva che noi avvertiamo disagio nei confronti del nichilismo proprio perché non ci siamo ancora abituati a convivere con esso- oggi invece mi pare si tenda piuttosto verso un “oltre” il ni­chilismo.
Ernst Jünger, autore del magistrale sa ...[continua]

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