Questa intervista fa parte di una ricerca della società Aaster di Milano, che ringraziamo.

Nelle aree in cui si produce per competere su un mercato globalizzato, appare di indubbio interesse l’espansione dell’area contract; dove singoli operatori acquisiscono importanti commesse all’estero, nella cui gestione interviene successivamente un rilevante numero di piccoli produttori locali.
Tali imprese assumono spesso una connotazione che viene definita "virtuale", perché fatte di pura rete commerciale e di strategie di ricerca e progettazione assai fluide, attente alle volubili tendenze del mercato. Il resto della produzione è tutto delegato all’esterno, alla miriade di laboratori artigiani e di piccole e medie imprese del territorio. Chi ha visitato queste imprese virtuali vi avrà trovato un settore di progettazione e il punto di comando della rete commerciale, ma non vi avrà mai trovato una sola linea di lavorazione e di produzione se non, in alcuni casi, per la realizzazione dei prototipi.
Ovviamente l’essere azienda virtuale presuppone una soglia dimensionale da non oltrepassare e una diversificazione di prodotto, vincolata al bacino del lavoro artigiano diffuso e alle reti intelligenti della progettazione e del design dislocate territorialmente.
L’impresa virtuale è fatta da un piccolo numero di professionisti, lavoratori autonomi di seconda generazione, che hanno, come patrimonio professionale, una rete di relazioni mondiali con cui acquisiscono commesse che ridistribuiscono sul territorio, organizzando un’impresa a rete che produce per il cliente estero. Il segreto del successo di questa forma-impresa sta nella capacità di combinare tutti gli elementi produttivi presenti sul territorio: dai piccoli artigiani fino alle strutture aziendali di carattere multinazionale.
Una di queste aziende, che potremo definire "virtuali" è la Erre Studio di Cantù, un’azienda che fornisce arredamenti su misura, di alto livello. Questa azienda, formata da 10 persone e da una rete di fornitura fatta di 84 imprese artigiane dell’area canturina, produce un fatturato annuale di circa 10 miliardi operando sui mercati del Centro Europa, dell’Est Europeo e del Medio Oriente. Abbiamo chiesto ai due titolari, Renato Riedo e Giovanni Ronchi, di raccontarcene la storia

Ci può raccontare il percorso di questa iniziativa imprenditoriale, siete nati subito come impresa contract, o ci siete arrivati con un processo di progressiva esternalizzazione?
Riedo. L’origine di questa azienda è da ricondurre al mio precedente ruolo di Direttore della Permanente di Cantù. Alla base dell’idea imprenditoriale c’è quindi una rete di relazioni internazionali che mi ero costruito in quel periodo e che ho deciso di mettere a frutto, acquisendo commesse e facendo lavorare degli artigiani che conoscevo sempre grazie sempre alla mia attività in Permanente. Possiamo dire che il "contract" in zona lo abbiamo inventato noi nel 1974, abbiamo deciso di assumerci i rischi dell’impresa, acquisendo commesse, suddividendo il lavoro su diversi artigiani e provvedendo noi al regolamento delle loro prestazioni. L’idea della Permanente era ottima, i nostri vecchi hanno avuto sicuramente un’idea grandiosa, solo che successivamente non hanno capito che il mondo girava e non si poteva più aspettare il lavoro, ma bisognava muoversi per andare a cercarlo. La difficoltà di questi consorzi è lo scarso dinamismo, l’incapacità di andare per il mondo, bisogna trovare la persona giusta che ama andare in giro, che trovi il giusto entusiasmo, poi ci vogliono persone capaci di gestire la complessità di una fornitura che per forza di cose è frammentata. Quello che è più importante per questi consorzi è che dovrebbero capire che il rischio imprenditoriale lo deve assumere il Consorzio e non il singolo artigiano, non ci si può limitare a fare incontrare domanda e offerta. Il problema è solo questo, se lei garantisce il rischio la seguono tutti. La Permanente aveva questa possibilità, ma non lo ha fatto mai. La nascita di Erre Studio si basa su questo, la totale assunzione del rischio da parte di un soggetto imprenditoriale. Abbiamo individuato una necessità, uno spazio e ci siamo inseriti. Ai tempi è stata una mossa vincente, oggi è diverso ci sono tanti a fare contract, anche le grandi imprese hanno una divisione contract; ai tempi non si chiamava neppure così, era una pura invenzione con tutti i rischi ...[continua]

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