In questa fase di recessione sempre più si sente parlare della decrescita come possibile soluzione. Tu preferisci il concetto di economia della sobrietà.
Il tema della decrescita viene fuori perché c’è un rallentamento dei meccanismi di sviluppo del sistema. Credo però che sia assolutamente improprio abbinare il concetto della decrescita alla situazione attuale. I teorici della decrescita su questo sono stati sempre molto chiari: non bisogna confondere una crisi economica con un discorso in positivo di una società della decrescita che invece si affranca dalla logica dello sviluppo quantitativo. Noi non stiamo vivendo una fase di decrescita, ma di crisi economica.
Detto questo, io ho la sensazione che la decrescita, così come è stata proposta qui in Italia, resti un concetto avvolto da un alone di ambiguità. A me convince di più il concetto di un’economia della sobrietà. L’approccio della decrescita mi sembra sia troppo parziale, astratto, insomma velleitario; mi sembra che non sia un modello praticabile, nel senso che non pare considerare tutta una parte di economia che a mio avviso non può che essere gestita attraverso una gestione pubblica. Ovviamente questo discorso vale anche pensando all’organizzazione di un’economia della sobrietà: l’idea di affidarsi alla buona volontà di alcuni imprenditori e alla buona volontà di alcuni cittadini attraverso scelte di vita e di consumo (alimentare, energetico, della mobilità) non basta a costruire un altro modello di società.
La questione è molto importante all’interno dei movimenti dell’altra economia. La crisi finanziaria in corso riguarda l’insieme delle economie mondiali e investe le risorse energetiche, le materie prime, gli stessi prodotti alimentari. Ciò che sta avvenendo pone per le economie alternative uno scenario nuovo, interessante anche, perché può essere l’occasione di mettere in campo alcune pratiche, come la rete delle economie solidali, l’esperienza delle monete locali, l’autogestione. E’ chiaro che non mi auguro una crisi come quella dell’Argentina, perché sarebbe una tragedia per milioni di persone, ma in qualche modo credo che la questione delle alternative si presenterà nei mesi e negli anni prossimi. Se questo è lo scenario, il concetto di decrescita ha una sua attualità. Io credo che la transizione da questo sistema ad un altro passi attraverso una rivalutazione dell’economia pubblica. Ma non voglio essere frainteso. Ci sono vari modi di intendere l’economia pubblica: c’è il modello statale, ma c’è anche un modello che si affida ad altre forme di tipo mutualistico. L’economia della sobrietà deve fare i conti con la scarsità di risorse e quindi c’è da scegliere come utilizzare queste risorse e come raggiungere l’idea di un’economia di giustizia. Quindi la differenza con il concetto di decrescita, così come viene proposto oggi in Italia, sta nello spazio attribuito al pubblico. Non si può parlare di superamento dell’economia della crescita, senza affrontare questo tema delle economie pubbliche.
Il movimento per la decrescita propone la creazione di distretti di economia solidale.
I distretti dell’economia solidale in Italia sono in uno stato embrionale. Anche qui siamo in un territorio un po’ ambiguo: i distretti di economia solidale partono da un’idea giusta che è quella di avvicinare produttori e consumatori, è un’estensione, se vuoi, dei Gruppi d’Acquisto Solidale, per cui la rete si allarga: non solo i consumatori, ma anche i produttori, e non solo i produttori di merci, ma anche di servizi…
Chi si colloca in questi ambiti è accomunato da uno spirito di condivisione, di relazioni, anche di assunzione di responsabilità rispetto al proprio ruolo nel mondo. Siamo in una fase della riflessione che forse non è così avanti, però credo che la costruzione di reti di economia solidale sia uno dei modi in cui un’economia della sobrietà si può affermare. Il limite, di nuovo, lo vedo sul piano dell’economia pubblica. Attualmente nell’ambito dell’economia solidale si tende a privilegiare il rapporto con il produttore, con la piccola impresa e meno con le comunità, le amministrazioni locali, il quartiere, i piccoli comuni, magari anche a livello progettuale. In questa direzione esiste già qualche esperimento, come “Cambieresti” promosso da ...[continua]
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