Com’è nata Radio Zamaneh?
L’idea di fare Radio Zamaneh -che significa “il nostro tempo”- è venuta nel 2006 a due parlamentari: Hans van Baalen, del Partito Liberale e Farah Karimi, di origine iraniana, del Partito Verde. In Olanda c’è una grande comunità iraniana. La maggior parte è arrivata qui dopo la rivoluzione, quando le cose sono peggiorate… Erano cinque anni che i partiti politici olandesi discutevano su come aiutare i media indipendenti nel nostro Paese, dove i giornali continuavano a chiudere, e molti giornalisti rimanevano disoccupati, per cui sembrava proprio non ci fosse modo di arrivare al pubblico iraniano con un’informazione davvero libera. Così, i due parlamentari presentarono la proposta di creare una radio con base in Olanda che potesse trasmettere anche in Iran. La proposta fu approvata all’unanimità dal Parlamento. Il governo olandese stanziò un finanziamento e l’affidò a Press Now, un’organizzazione che si occupa di tutelare la libertà di stampa, incaricandola di supervisionare le nostre attività; comunque, siamo indipendenti, abbiamo la nostra direzione e l’ultima parola sui contenuti. Ci siamo dati tre linee guida: vogliamo promuovere la democrazia in Iran, difendere i diritti umani e fare da piattaforma per quanti non riescono a diffondere le proprie idee. Il nostro pubblico è composto di giovani dai 18 ai 35 anni, la maggior parte dei quali vive in Iran. Abbiamo iniziato a trasmettere via satellite nel settembre 2006, dopo un mese di prova in cui non avevamo ancora uno studio, usavamo i nostri portatili…
Io sono addetto alle pubbliche relazioni, seguo le strategie di marketing, di pianificazione delle attività; non soltanto per scoprire come arrivare a un pubblico più ampio, ma anche per aumentare il sostegno al nostro lavoro in Iran e all’estero.
La mia famiglia si è trasferita qui che avevo solo diciott’anni, dunque sono diventato giornalista in Occidente, non in Iran. Ho il mio blog personale, ma di fatto non scrivo per Radio Zamaneh. Le persone che lavorano per noi, però, dall’Iran o dall’estero, sono spesso giornalisti molto noti, che lavoravano in radio, o nei giornali iraniani; poi ci sono giornalisti che stiamo formando per la radio, giovani che hanno studiato giornalismo e che in Iran non hanno mai trovato opportunità… Cerchiamo di combinare diverse esperienze di giornalismo.
La vostra è conosciuta anche come la “radio dei blogger”, puoi raccontare?
La nostra politica è molto chiara. Siamo tra i primi sostenitori dei blogger iraniani, molti nostri collaboratori hanno un proprio blog. Tutto ciò che esce su Radio Zamaneh però è pensato appositamente per la radio. Poi, i nostri collaboratori possono ripubblicare tutti i contenuti nelle proprie pagine, ma devono indicarne la provenienza. L’idea è di promuovere l’attività dei blogger, cercando anche di valorizzare il loro lavoro, chiedendo loro di scrivere per noi, che vuol dire rispondere al nostro standard.
Da questo punto di vista, il nostro è un ibrido. Il giornalismo partecipato è un tema molto delicato: se vuoi promuoverlo, devi creare delle strutture, offrire delle opportunità. Poniamo, ad esempio, che tu viva in una piccola città in Iran: assisti a un grave incidente, e vuoi raccontarlo. Se sei un giornalista preparato, scrivi il pezzo e ce lo mandi; se fai video, invece, puoi caricare il filmato e mandarlo alla radio, dove poi noi lo montiamo, aggiungiamo il sonoro, e finalmente lo pubblichiamo online.
Purtroppo in Iran la connessione non è velocissima, a volte va e viene, e il nostro sito non è sufficientemente attrezzato per far fronte a un alto numero di collaboratori a distanza.
Ci stiamo lavorando, l’obiettivo è un sistema in cui chiunque possa pubblicare il proprio contenuto.
Avete avuto problemi con il regime iraniano?
Non possono impedirci di trasmettere in Iran, perché trasmettiamo via satellite. Mettiamola così: in Iran, il concetto di “media indipendente” non ha molto valore. Gli iraniani non credono nemmeno che sia possibile restare indipendenti, con i finanziamenti di un governo -nel nostro caso, del governo olandese. Così, provano a delegittimarci accusandoci ...[continua]
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