Giuseppina Melchiorre è dottore di ricerca in Fisica presso l’Università di Bologna e si occupa di gestione del rischio relativo a disastri naturali e antropici, con particolare riferimento a terremoti, alluvioni e altre catastrofi.

Tu ti occupi di "gestione del rischio” e hai seguito anche l’intervento post-terremoto a L’Aquila. Lì la prima questione è stata se l’evento fosse prevedibile...
Quando ci si occupa di gestione del rischio indotto da disastri naturali bisogna sempre adottare un approccio multidisciplinare, perché si tratta sempre di fenomeni complessi e quindi c’è bisogno di competenze diverse, il fisico, l’ingegnere, lo psicologo, eccetera.
Per gestire l’emergenza non basta dunque avere un modello di previsione. Nel caso specifico dei terremoti, dei modelli esistono, altri sono allo studio, ma sono strumenti statistici e quindi soggetti a un certo tasso di errore, quindi possiamo dire che un terremoto non è scientificamente prevedibile, ma questo è un falso problema, perché avere una previsione precisa non vuol dire riuscire a gestire il rischio.
L’inverno scorso, a livello meteorologico, era stato previsto perfettamente quanta neve sarebbe caduta, eppure l’intero sistema ferroviario è entrato in tilt. Perché? Perché non c’era un piano per gestire quella situazione nel momento in cui si verificava.
Ora c’è una grande enfasi sulla previsione, si stanno stanziando finanziamenti, spesso si sente dire: se io prevedo, controllo la situazione. Ma non è così. Katrina è un altro esempio: dell’uragano si sapeva, certo gli scienziati avevano cercato di evitare il panico, di rassicurare la popolazione, ma questo è un altro discorso che ha a che fare con la gestione della comunicazione.
Franco Boschi è stato molto criticato perché alla vigilia del terremoto ha negato che si potesse prevedere il sisma e si è assunto la responsabilità di dire che non sarebbe successo, appunto per non far scattare l’effetto panico. Ora, io non condivido molte delle sue affermazioni, però in questo caso specifico concordo sull’approccio da lui tenuto, perché in effetti, ad oggi, rispetto ai terremoti, non hai la certezza né che non succeda, né che succeda. Ma di nuovo, anche supponendo che tu potessi essere sicuro che succeda, gestirlo è un’altra cosa.
Cosa vuol dire allora gestire questo tipo di situazioni?
Gestire vuol dire fare tutto il necessario affinché nel momento in cui l’evento si verifica, si debbano prendere il minimo delle decisioni. Questo è il punto più importante: quando il rischio si verifica, dev’essere tutto già organizzato a monte, prima, così da poter intervenire in maniera mirata, con degli automatismi e senza troppe decisioni da prendere.
Quando scatta la colonna mobile della Protezione Civile, all’interno c’è di tutto e di più, dai volontari sanitari, ai geometri, ai geologi ecc. Sono tutti personaggi diversi che si devono interfacciare e devono essere messi in moto contemporaneamente.
Allora, se queste persone hanno già fatto delle esercitazioni per prestare soccorso, il campo base lo monti in 24 ore. E’ quello che è successo giù a L’Aquila. La colonna mobile dell’Emilia-Romagna, allertata alle cinque della mattina, alle otto e mezzo era già in movimento, un tempo brevissimo, eccezionale. Infatti in quell’occasione sono state mosse molte critiche, ma secondo me la Protezione Civile, più di quello che ha fatto, in quel momento, non poteva fare.
Alle undici-mezzogiorno la Protezione Civile dell’Emilia Romagna aveva iniziato le operazioni di allestimento del sito, e la mattina successiva -a distanza di 24 ore- avevano già dato la prima colazione, quindi il campo base era ben allestito. Come si spiega una tale efficienza? Semplicemente con il fatto che queste persone erano già state addestrate. Quando infatti, nel 2007, c’è stato il pericolo dell’esondazione del Po, avevano fatto delle esercitazioni, e quindi sapevano che cosa fare.
Ovviamente nel momento in cui vai in un posto nuovo, trovi sempre dei problemi che magari non avevi previsto, ma questi devono essere ridotti al minimo indispensabile. Tutto il resto deve funzionare.
Questo è il punto cruciale. Ora in alcune regioni, come l’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Veneto, il Trentino, questo meccanismo funziona; in altre regioni, così così, perché manca proprio una cultura diffusa, e gli esperti, i professionisti sono comunque un numero ridotto. In Italia, i dipendenti della Protezione Civile, quelli che lo fanno di mest ...[continua]

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