Nel 1993 hai fondato Tampep, una Ong che promuove azioni e politiche basate sul rispetto dei diritti delle persone immigrate, in particolare delle prostitute, puoi raccontare?
Quando è nata l’idea di Tampep, lavoravo già da molti anni sui temi dell’immigrazione, in particolare femminile. I processi migratori femminili erano sempre più legati alla domanda di servizi e lavori privati, sia nell’economia informale -come servizi domestici e sessuali- che nell’industria dello spettacolo. Si trattava in ogni caso di forme di lavoro non protette e non riconosciute.
Successivamente mi sono ritrovata a lavorare sulla tratta di esseri umani, con particolare attenzione a tutto il dibattito su cosa sia criminale e cosa non lo sia in questo ambito. Per "non criminale” intendo una prostituzione libera da vincoli di dipendenza e sfruttamento.
Per approcciare queste persone, abbiamo scelto di lavorare specificamente sulla tutela della salute come accesso ai diritti. Questa resta una chiave d’entrata importante per poi provare a intervenire anche sulle condizioni di lavoro e la situazione sociale.
Va detto che, nonostante le leggi restrittive sia sul piano dell’immigrazione che su quello della prostituzione, le donne straniere continuano ad arrivare.
In Europa le donne immigrate rappresentano il 60-70% delle prostitute. Ci sono paesi che arrivano ad avere il 90% di "non-nazionali” nell’industria del sesso. In Italia, Spagna, Francia e Finlandia si arriva al 70%; in Olanda la percentuale si è abbassata a causa della legislazione sull’immigrazione.
Attualmente la nazionalità più rappresentata, non in termini numerici, ma in termini di diffusione, sono i rumeni, sia donne che uomini. Questo è dovuto all’ingresso della Romania in Europa e quindi alla libera circolazione. La stragrande maggioranza dei lavoratori e lavoratrici del sesso sono però cittadini e cittadine non-europei.
Se poi aggiungiamo che la maggior parte delle donne migranti vive nell’illegalità completa, capiamo la gravità della situazione.
Negli ultimi due anni, in Europa, abbiamo assistito ad alcuni cambiamenti importanti e preoccupanti sia nelle politiche sulla prostituzione che nelle politiche migratorie. Le due dinamiche sono legate e portano a un atteggiamento repressivo anche laddove non c’è una legge contro la prostituzione. In generale si criminalizza in nome dell’ordine pubblico o di ordinanze cittadine. Una presenza massiccia e crescente di donne straniere ha portato a incrementare certe misure.
Le donne che lavorano in strada sono evidentemente quelle più vulnerabili: sono più visibili e quindi più facilmente oggetto di violenze, ma anche di soprusi da parte di addetti all’ordine pubblico; troppo spesso sono oggetto di razzie e deportazioni indiscriminate. In realtà, nel caso in cui queste donne siano soggette a un rapporto di dipendenza da qualcuno che le sfrutta, secondo la legge, avrebbero diritto a una forma di protezione come possibili vittime di tratta.
La minaccia della repressione e lo stato di illegalità hanno come conseguenza lo spostamento della prostituzione al chiuso, in appartamenti o locali, il che non è necessariamente positivo, perché intanto non mette al riparo da interventi repressivi, ma poi questo fatto di essere nascoste aumenta lo stato di isolamento di queste donne che in fondo svolgono una professione che non danneggia nessuno, e che per più di qualcuna è una risorsa economica che rappresenta una risposta concreta ai problemi di sussistenza.
Qual è attualmente la situazione della prostituzione in Europa? E cosa si può fare?
Oggi, in Europa, il 74% della prostituzione è al chiuso, anche nei Paesi dell’Est. Essendo meno visibile, è diventato molto più difficile entrare in contatto con le persone. Parliamo anche di un fenomeno che si è molto diffuso ed è diventato più mobile.
In questa cornice, Tampep cerca di aumentare la visibilità delle lavoratrici del sesso, di farle uscire dai loro nascondigli, per poterle aiutare. Facciamo anche opera di sensibilizzazione, per far capire che le leggi repressive portano solamente ...[continua]
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