Antonio Montresor, medico, si occupa, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dello studio e applicazione delle terapie contro i parassiti intestinali. Sposato, quattro figli, dopo un’esperienza in Tanzania e in Vietnam, oggi vive e lavora a Ginevra. Quelle che seguono sono considerazioni di carattere personale, che non impegnano l’Oms.

La tua esperienza con le malattie tropicali è cominciata in Tanzania. Puoi raccontare?
Mi sono laureato in Medicina a Milano e poi, invece di fare il servizio militare (che all’epoca era ancora obbligatorio) ho fatto il servizio civile con un’organizzazione che si chiama Cuamm (Medici con l’Africa) per la quale sono rimasto in Tanzania per due anni. Il Cuamm è un’organizzazione molto seria: prima di mandarti in un posto pretende che ne parli la lingua, quindi ho raggiunto il Paese tre mesi prima di iniziare il servizio e ho seguito un corso di swahili praticamente per 24 ore al giorno.
Dopo quei due anni e tre mesi in Africa ho capito che questo tipo di vita mi piaceva, per cui, dopo la specializzazione, ho fatto un concorso per entrare all’Oms. Si trattava di un concorso molto valido: si chiama Jpo (Junior Professional Officer) e consiste in una sorta di borsa che il Governo dà ad un professionista perché lavori per due anni all’Oms, all’Unicef o in altre istituzioni internazionali. Dopodiché sta a te saperti inserire. Sono entrato all’Oms di Ginevra a 32 anni e ci sono rimasto 4-5 anni. In seguito si è presentata l’occasione di partire per il Vietnam e -a quel punto con la famiglia- sono andato a vivere ad Hanoi per sei anni.
Come funziona l’Oms? E in cosa consiste il tuo lavoro?
Per entrare a far parte dell’Oms, i paesi membri (ormai la quasi totalità) pagano una somma in relazione al Pil. A differenza dell’Unicef, ad esempio che, avendo i suoi fondi, si gestisce autonomamente, noi siamo molto legati ai Governi dei paesi con cui abbiamo a che fare.
Per l’Oms, io mi occupo di vermi e infezioni, nello specifico di elmintiasi, un insieme di infezioni provocate da parassiti che infettano un terzo della popolazione mondiale. Non sono malattie mortali -si sopravvive con dei parassiti nella pancia o nelle vie urinarie- e però si tratta di patologie che causano perdite di sangue, perdite di vitamine, e quindi malnutrizione e ritardi nella crescita. Il mio lavoro consiste soprattutto nel viaggiare, nel convincere i ministeri della Sanità che bisogna debellare queste malattie e dunque nell’aiutarli ad allestire un programma di controllo e a trovare i fondi necessari.
Questi paesi poi vanno aiutati anche a stabilire i contatti con i vari governi o con i potenziali donatori. Anche grazie al lavoro svolto in questi anni, fortunatamente molti finanziatori hanno riconosciuto che si tratta di un intervento con un ottimo rapporto costi-efficacia e quindi è abbastanza facile trovare delle medicine a bassissimo costo o delle donazioni.
L’Oms si è dato come obiettivo il trattamento del 75% dei bambini nei Paesi in via di Sviluppo. Oggi siamo intorno al 25%, per cui siamo ancora un po’ lontani, ma sta andando bene. E’ un momento di grande interesse per queste malattie, cosa che non era mai successa negli ultimi dieci anni e quindi speriamo di poter coprire molti più bambini in futuro.
Ci puoi parlare delle varie malattie di cui ti occupi?
Ci sono due gruppi di malattie. Nel primo, per il quale abbiamo già sviluppato tutto il sistema di controllo, rientrano l’ascaridosi, l’anchilistomiasi a le schistosomiasi (vermi trasmessi dal suolo e dall’acqua). Si tratta di parassiti che si installano nell’intestino e che causano problemi nutrizionali. Ebbene, nel mio primo periodo a Ginevra, ho condotto degli studi per quantificare il danno causato da questi parassiti, misurando le perdite di sangue, il ritardo nella crescita e i ritardi di apprendimento dei bambini. Grazie al lavoro in Tanzania e al fatto di aver imparato lo swahili ho potuto lavorare senza bisogno di interpreti.
Dopodiché abbiamo studiato una serie di misure per controllare questi parassiti, quindi i possibili metodi di distribuzione dei farmaci alla popolazione a rischio: bambini in età scolare e prescolare e donne in gravidanza.
Questi farmaci hanno molti vantaggi: prima cosa costano pochissimo. Una pastiglia, grazie alla quale si può curare un bambino, costa due centesimi di dollaro. Quindi con due dollari tratti cento bambini.
L’altra qualità di questi farmaci è che non vengono assorbiti: quest ...[continua]

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