Lei è imam a Drancy. Qual è stato il suo percorso?
Sono nato in Tunisia da un padre di origine algerina e da una madre tunisina. Ho studiato teologia in Tunisia, in Siria, in Iran (per conoscere un po’ l’Islam sciita), Turchia, Pakistan e India, in modo da poter familiarizzare con il mondo musulmano "non-arabo”, quello cioè che non parla l’arabo. Sono arrivato in Francia nel 1996 come imam a Bobigny (comune nella periferia nord-est di Parigi) e come rettore della moschea. Oggi sono rettore della moschea, imam a Drancy e Presidente della Conferenza degli imam di Francia, un’iniziativa nata nel giugno di quest’anno per promuovere un Islam aperto.
Lavoro molto sul dialogo interreligioso, soprattuto per quello che riguarda il riavvicinamento tra ebrei e musulmani, ma non solo. Drancy è un luogo molto particolare. E’ la "città delle deportazioni” in Francia. Tra il 1941 e il 1944 ospitò il maggior campo di internamento degli ebrei francesi in partenza verso Auschwitz.
Nel libro che ho scritto, Pour l’Islam de France, parlo di tutto questo e faccio appello per un Islam di Francia e, indirettamente per un Islam d’Europa. Con questa espressione intendo un Islam senza influenze, senza ingerenze dall’estero, senza sette e senza tendenze.
Com’è la situazione a Drancy?
A Drancy vivono circa 10.000 musulmani, qualcosa come 600 famiglie ebraiche e poi delle comunità cattoliche e protestanti. C'è anche una grande comunità italiana. La mia aspirazione è quella di mostrare che l’Islam può convivere in armonia con tutti, restando lontano dalle influenze politiche.
I valori repubblicani e quelli dell’Islam non sono antagonisti. Il nostro messaggio è che stare assieme è possibile e noi siamo un esempio. Siamo una religione di pace. Qui a Drancy condivido la vita e partecipo alle feste delle altre comunità.
Ho rapporti con i portoghesi, con gli italiani, con con i serbi. Mi è anche capitato di partecipare ad una festa serba, dove si ballavano delle danze tradizionali. In quell’occasione sono stato anche un po’ criticato, alcuni mi hanno detto: "I serbi durante la guerra hanno ucciso dei musulmani in Bosnia”. In queste occasioni io rispondo: "No, ora siamo qui tutti insieme per esportare l’amicizia, non i conflitti”.
Quando si parla di un Islam indipendente è cruciale la questione dei finanziamenti per le attività della comunità, per la costruzione di moschee... In Francia la legge sulla laicità del 1905 vieta allo Stato di finanziare i culti e così i Paesi stranieri sono spesso la sola fonte di entrate per le comunità. Esiste un’alternativa?
Sì, un’alternativa è possibile. Le faccio ancora l’esempio di Drancy. La nostra moschea è stata finanziata dal Comune con un sistema che si chiama di "affitto-vendita”: sostanzialmente è un contratto che permette all’affittuario di diventare proprietario dell’immobile alla scadenza del contratto. La città ci ha dato il terreno a titolo "culturale” e poi noi lo abbiamo adibito a culto. Bisogna trovare degli stratagemmi che ci permettano di muoverci rimanendo all’interno delle regole.
Per quanto riguarda il rapporto con lo Stato io un’idea ce l’avrei: potremmo creare una Fondazione, una sorta di grande contenitore, che permetta di riunire tutti i soldi dei donatori, tutto il denaro che arriva dalla tassazione dei prodotti halal, dei pellegrinaggi, ad esempio.
Sa a quanto ammonta il giro di affari dell’halal in Francia? A nove miliardi di euro. Recentemente ho letto di una società francese che vende carne halal all’Arabia saudita per un giro di affari di 650 milioni di euro. Penso che i musulmani, organizzandosi, potrebbero avere una parte di questo denaro per finanziare i luoghi di culto e per formare degli imam. Credo che la possibilità di essere indipendenti sia reale. Con entrate come quelle di cui sopra possiamo iniziare a trovare delle soluzioni: già con l’esempio di Drancy -che altre città stanno replicando- stiamo vedendo che è possibile.
Noi comunque non vogliamo affatto aggirare la sovranità dello Stato. Penso, anzi, che lo Stato ci potrebbe aiuta ...[continua]
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