Marzia Bianchi si occupa dei progetti di conciliazione all’interno dell’azienda di famiglia Lubiam.

La Lubiam è un’azienda di abbigliamento storica del mantovano. Può raccontarci?
La Lubiam è stata fondata nel 1911 da Luigi Bianchi, il nonno di mio marito, quindi ha una storia abbastanza lunga, proprio quest’anno compie cento anni di attività. Se poi teniamo conto che il padre e il nonno di Luigi erano anch’essi sarti, beh, le origini di questa impresa risalgono a tempi ancora più lontani.
La Lubiam è nata come azienda di abbigliamento maschile e tailleurs. Luigi Bianchi era un uomo che aveva estro, era un creativo. Giovanissimo era andato a Torino a imparare il mestiere e poi aveva aperto questa bottega artigiana che aveva avuto immediatamente un grande successo. Tanto che si racconta che il Duca di Windsor durante la guerra passando da Mantova fosse andato a farsi fare un intero guardaroba dal nonno Luigi. Vendeva anche a Milano dove aveva aperto uno show room. Insomma era un uomo molto intraprendente.
Luigi aveva due figli, ma il maggiore, Giuliano, che doveva essere un po’ il continuatore, morì giovane di tubercolosi, così subentrò mio suocero, che era il figlio più piccolo, quello su cui non si contava più di tanto e che, invece, rivelò un grande talento imprenditoriale trasformando l’attività artigiana in un’industria vera e propria, quindi lavorazione e produzione in serie e così via. Fu lui a far costruire questo stabile e a far sì che la Lubiam diventasse una delle aziende italiane più importanti.
È un’azienda che è rimasta sempre in mano alla stessa famiglia, cosa che ormai nel settore è rarissima. Siamo alla quarta generazione e credo che all’origine di questa longevità ci sia anche una certa filosofia volta a mantenere l’azienda entro certi limiti, a non fare mai il passo più lungo della gamba, a non lanciarsi in operazioni speculative, ma a guardare con semplicità all’efficienza dell’azienda, alla sua buona gestione, pure sul piano delle relazioni con i dipendenti.
Anche quando, con la nascita degli stilisti, del design e del "made in Italy” inteso anche come alta moda, il settore si trasformò, la Lubiam rimase un’azienda di medie dimensioni, non puntò sulle griffes.
Molti sono stati gli esempi di colossi che poi purtroppo con il tempo sono andati sgretolandosi. Tenere le fila di tutto non è facile se le dimensioni aumentano.
La Lubiam invece è sempre rimasta entro i limiti di un’azienda familiare in cui tutto può essere monitorato, tenuto sotto controllo.
Negli ultimi anni l’azienda ha intrapreso una serie di progetti di conciliazione.
Quando è uscito il bando sulla conciliazione, la consigliera di parità, Grazia Cotti Porro, fin dall’inizio ha sollecitato il mondo imprenditoriale a guardare con attenzione a questa opportunità. Noi poi ci conosciamo e siamo entrambe nella Commissione Pari Opportunità della Provincia, per cui lei contava proprio su di me: "Marzia, vedi di parlarne...”.
Così ne ho parlato in famiglia. All’inizio c’era un po’ di scetticismo: "Non è che ci crea più problemi di quanti ne risolviamo?”.
Io, però, leggendo il libro sulla storia della Lubiam, ho visto che di conciliazione si parlava già cinquant’anni fa. Magari non si usava questa parola -conciliazione- si diceva "andare incontro alle esigenze del lavoratore”, ma il concetto era quello.
La Lubiam è stata la prima azienda ad aprire una mensa aziendale, già negli anni ‘30 mi sembra. Erano gli anni in cui Olivetti stava portando in Italia certe innovazioni di derivazione americana, fordista, seguito da una serie di imprenditori, come Marzotto ma non solo. In quel periodo la Lubiam aprì una biblioteca per gli operai, un’infermeria, costruì un caseggiato per ospitare le persone che lavoravano in azienda che così non avevano più problemi di trasferimento, e poi c’erano le vacanze estive per le famiglie dei dipendenti a costi agevolati eccetera.
Quindi c’era già una tradizione che, per quanto si fosse affievolita negli anni del dopoguerra, era andata avanti fino agli anni ‘60. Poi erano iniziate le rivendicazioni salariali, gli autunni caldi, gli anni di piombo e, insomma, il rapporto titolare dipendenti si era andato raffreddando. Non c’era più quel clima familiare che anch’io avevo fatto in tempo a conoscere nei primi anni del mio matrimonio. A quel punto ogni iniziativa era accolta con diffidenza, sembrava una captatio benevolentiae del titolare.
Così, quando sono usciti qu ...[continua]

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