Massimo Descisciolo fa il farmacista ad Aprati di Crognaleto (Teramo).

Com’è maturata la scelta di fare il farmacista di comunità?
La laurea in farmacia ti dà la possibilità di fare diverse cose. La principale, quella più nota a tutti, è il farmacista di comunità. Ma in realtà esiste anche il farmacista ospedaliero, il farmacista d’industria, il ricercatore, il farmacista all’università, il farmacista territoriale che fa un lavoro di controllo sul territorio, soprattutto burocratico e d’ufficio, ci sono i farmacisti delle forze armate. Io però avevo sempre avuto la passione per la comunità. All’epoca ancora non conoscevo le comunità montane, le piccole comunità, cosa vuol dire lavorare nei piccoli centri. Conoscevo invece la farmacia di città che però è "di comunità” per modo di dire, è un termine tecnico.
Quello di farmacista, poi, è un mestiere che non ho intrapreso subito.
Dopo la maturità mi ero messo a cercare un lavoro, però mi stava tutto stretto, intanto passavano gli anni, fino a che un giorno, come a volte accade nella vita, incontri qualcuno che ti dice una frase magica e il giorno dopo non è più come il giorno prima.
Ecco, un giorno -d’estate lavoravo per aiutare l’azienda di famiglia, un bar-ristorante- arriva una persona, che neanche conoscevo, e guardandomi mi dice: "Che belle mani da farmacista”.
Devo dire che dietro c’erano già le letture fatte, l’interesse verso la chimica, verso l’alchimia, comunque da lì ho iniziato a studiare il piano di studi di una facoltà di Farmacia; l’attitudine alla cura un po’ me la sentivo, però medicina mi spaventava: il contatto, dissezionare... Avevo degli amici che facevano medicina, odontoiatria, che mi dicevano: "Ma tanto passa, si supera, non è più come una volta, si fa sui modelli”. Ma non ero convinto. Io poi avevo una vera passione per tutto quello che era la neurologia, però anche lì, aprire la calotta cranica, sezionare... Mi dicevano: "Ci si abitua’’. No, non faceva per me, cioè non ci si deve forzare. Così quando vidi il curriculum della facoltà di Farmacia e che molti esami erano uguali a medicina, salvo poi approfondire tutto l’aspetto chimico, farmacologico, tutto il versante della botanica... mi si è aperto un mondo. Leggendo il piano di studi ho proprio pensato: "È il mio, ce l’ha posso fare”. Considera che allora tutti mi scoraggiavano, mi sconsigliavano di riprendere a studiare: "È una delle facoltà più difficili, non ce la farai mai’’.
Sono stati sei mesi difficili, di rottura anche con tutto quello che mi circondava allora. Si vede che la vita va così, si deve recidere qualcosa per poi…
Così, a 24 anni, mi sono rimesso a studiare. Ho fatto il percorso di cinque anni, ci siamo laureati in tre dei cinquanta di partenza; una metà ha lasciato e gli altri ci hanno impiegato quei sette-otto anni, che poi sono la media nazionale.
Il tirocinio l’ho fatto in ospedale e il contatto col mondo della medicina è stato entusiasmante.
Nel frattempo ho anche capito finalmente cos’era una vera farmacia di comunità. Bisogna infatti sapere che non tutte le farmacie sono uguali. A Roma ci sono farmacie con cinquanta dipendenti, è un’industria. E poi ci sono farmacie come la mia, dove si è soli, o al massimo hai un dipendente part-time.
Il fatto è -e qui entriamo subito nel merito della questione- che queste vengono messe tutte sullo stesso piano, anche dall’opinione pubblica, ma in realtà sono realtà estremamente diverse. Così come è diversa la farmacia sulla costa, dove l’aspetto commerciale è molto spinto, perché devono fare i fatturati per mantenere dieci dipendenti, e l’aspetto della salute è solo un ingrediente dell’insieme.
Comunque ho fatto la mia gavetta: servono almeno due anni per poter acquisire la titolarità, la laurea infatti non ti abilità ad aprire una farmacia; è necessaria una convenzione con lo Stato e c’è un numero prestabilito: si vince per concorso o si acquista, se il farmacista decide di chiudere o di vendere, ma questo è raro, perché tendenzialmente è un mestiere che si tramanda di padre in figlio. Comunque mi sono detto: intanto inizio a lavorare e mi faccio questi due anni, cerco di imparare il più possibile e poi... e poi niente, sapevo già dove volevo arrivare: per me il sogno era la farmacia di comunità montana.
Perché proprio di comunità montana?
Perché solo qui si può fare il farmacista come volevo io.
Prima stavo a San Benedetto e avevo un laboratorio galenico dove si preparavano i farmaci, ma era un ...[continua]

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