Paolo Calzini è visiting professor in European Studies alla Johns Hopkins University. L’intervista è stata raccolta prima delle ultime elezioni.

Come dobbiamo interpretare questo annuncio della candidatura di Putin per un terzo mandato?
L’annuncio è arrivato a sorpresa, senza preavviso, a conferma del carattere chiuso, segreto, impermeabile, del sistema decisionale esistente ai massimi livelli del Cremlino. D’altra parte non era inatteso, essendo considerata una delle ipotesi più probabili in vista della tornata elettorale per la presidenza dell’anno prossimo. Infatti, al di là delle ambiguità di questa diarchia, di questo tandem, che aveva visto la presenza di Putin alla presidenza del Consiglio e di Medvedev alla presidenza dello Stato, era evidente che Putin fosse rimasto l’uomo forte del sistema. C’è una barzelletta in Russia che recita: "Ho mandato una lettera al presidente del consiglio così arriva direttamente a Putin”. Ecco, questo si sapeva.
Ora, la scelta dichiarata per la candidatura alla presidenza mette fine alle illazioni di possibili altre soluzioni, cioè, ad esempio, che Putin restasse Primo Ministro, ma con delle competenze accresciute, cioè che si rafforzasse il ruolo del presidente del Consiglio rispetto a quello della presidenza. Quando poi si parla delle elezioni, il fatto è che parliamo di procedure dall’esito scontato. In real­tà, il problema è di ottenere una partecipazione al voto sufficiente che superi una certa soglia, ma la vittoria di Putin è garantita sia perché c’è un consenso effettivo, anche se calante, alla sua persona, sia perché esistono forme di controllo e di manipolazione dello scrutinio che garantiscono un esito favorevole al governo. A questo punto, il dibattito fra gli osservatori si è concentrato sul significato politico di fondo di questa scelta.
Putin, certo, rappresenta ancor oggi l’uomo forte del sistema, quello che può assicurare continuità al potere. Putin, come si dice in inglese, è sia boss che broker, cioè è l’uomo che controlla la sua élite, garantisce la stabilità del paese e, allo stesso tempo, è anche il mediatore tra le varie forze politiche ed economiche alla base del regime. Pertanto è una figura politicamente insostituibile a questo livello. Questo per due ragioni: perché controlla la macchina del potere al massimo livello (e quindi le élite che ne dipendono -un’élite di estrazione tecnocratica e capitalista e una che proviene dai servizi di sicurezza, i cosiddetti siloviki) e gode di una base di consenso nel paese. Qui è importante però intendersi sul concetto di consenso che non vuol dire legittimità. Il suo consenso è infatti in larga misura passivo, nel senso che nasce da una forma di inerzia, di assuefazione all’esistente dovuta soprattutto al fatto che non c’è alternativa. Il sistema istituzionale è gestito dalle autorità in modo tale che, anche se c’è un potenziale dissenso, non trova sbocco perché non vi sono partiti o forze di opposizione che possano canalizzarlo. Il partito di governo, Russia Unita, per i motivi già indicati ha la vittoria assicurata. L’unico partito con una ridotta base politica è quello comunista, ma opera su un voto residuale che è quello dei nostalgici. Non gioca certo sul voto giovanile. Le forze liberaldemocratiche restano marginali.
Parliamo quindi di un consenso maggioritario che non va visto come il risultato di una convinta adesione al governo di Putin. Resta d’altra parte da tener presente che l’immagine dell’uomo forte, della personalizzazione del potere al quale delegare il proprio voto è nelle corde della cultura politica della Russia e quindi non costituisce un fatto anomalo. Il quesito di fondo, a questo punto, riguarda quale sarà la scelta politica di Putin in questo terzo mandato, per i prossimi sette anni, che possono addirittura raddoppiare a quattordici.
La Russia, pur con i suoi problemi economici, demografici e l’assenza di tutela dei diritti umani, dà un’impressione di stabilità...
La stabilità, conclamata in tutti questi anni come valore legittimante del regime, ha un significato conservatore, cioè di mantenimento dello status quo, grazie soprattutto, come dicevo, a un sistema politico che non permette alternative. Questa continuità istituzionale dipende molto, come sempre avviene, da una sua situazione economica favorevole che, nel caso russo, è dovuta agli straordinari introiti dalla vendita di gas e petrolio.
La forte domanda di queste materie prime ha fatto sì che negli ult ...[continua]

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