Paolo Calzini è Associate Fellow della Johns Hopkins University Sais Europe.

Stiamo assistendo a una crisi del sistema internazionale?
Il sistema internazionale fondato sugli stati, in primis le grandi potenze nucleari Stati Uniti, Cina e Russia che, nonostante gli sviluppi più recenti, rimangono gli attori principali nella gestione della guerra e della pace, versa in un’evidente condizione di crisi. Una crisi di fondo che non risulta da un evento occasionale ed è, verosimilmente, destinata a durare nel tempo. I ripetuti casi di tensione e la diffusa conflittualità hanno infatti portato a forti contrasti sia sul piano delle relazioni tra gli stati che all’interno delle società nazionali.
Siamo in presenza di un clima alimentato da un’aspra campagna di informazione e comunicazione manipolata allo scopo di costruire un’immagine particolarmente negativa dell’avversario, considerato a tutti gli effetti un pericoloso nemico.
In presenza di un degrado della struttura portante del sistema internazionale, dovuto alla redistribuzione di potere in atto su scala globale, il processo di transizione a un nuovo ordinamento sta avvenendo in modo convulso e contraddittorio, con una forte imprevedibilità rispetto alla sua futura configurazione in un mondo post bipolare.
I fattori alla base di questa profonda mutazione del quadro internazionale investono l’azione degli stati sul piano politico, economico, e soprattutto militare. Ne conseguono sentimenti di apprensione di fronte a un’accelerata corsa agli armamenti.
Va aggiunto che, in una congiuntura in contraddittoria evoluzione, i parametri interpretativi riferiti a una politica di controllo e mediazione fra e all’interno degli stati appaiono inadeguati per valutare le tendenze di fondo di un quadro mondiale così segnato da profonde lacerazioni. Tutto fa pensare che in un orizzonte temporale a medio-lungo termine il quadro mondiale sarà, allo stesso tempo, più frammentato e globalizzato di quella attuale.
Al centro di questo panorama internazionale spicca la contrapposizione fra le tre grandi potenze, Stati Uniti, Cina e Russia, con l’Unione europea in posizione defilata. A questo fa riscontro una diffusa conflittualità tra i vari attori medi e minori (movimenti e stati) attivi sui diversi teatri regionali.
Il sempre più frequente richiamo a un possibile utilizzo dell’arma nucleare da parte dei dirigenti delle potenze rivali apre lo scenario a una possibile conflagrazione generale combattuta con i mezzi di distruzione della moderna tecnologia. Una prospettiva della cui gravità non sembrano consapevoli né le élite politico-militari né l’opinione pubblica, presi dai problemi contingenti della quotidianità e riluttanti ad assumersi le responsabilità relative a una sfida fondamentale del nostro tempo.
Come siamo arrivati a questa svolta nelle relazioni fra gli stati?
Come si sia arrivati a una situazione definita eufemisticamente la “nuova normalità”, con un cinico travisamento del significato intrinseco del termine normalità, è oggetto di valutazioni contrastanti. Questo non impedisce che si possano individuare alcune linee di evoluzione del corso degli avvenimenti che per tappe successive hanno portato all’attuale profonda mutazione del quadro internazionale.
Tra i fattori all’origine di questa svolta nelle relazioni fra le grandi potenze c’è sicuramente il collasso dell’Unione Sovietica sotto il peso delle contraddizioni del regime comunista, logorato da un confronto insostenibile con il blocco euroatlantico. Un confronto, condotto dall’Occidente ricorrendo a tutti i mezzi di pressione ­dell’hard e del soft power, che ha avuto un effetto dirompente sul sistema di potere sovietico.
Questo fattore torna oggi di attualità, anche se in un contesto internazionale profondamente mutato. Non a caso oggi si parla sempre più spesso di conflitto a diversi livelli di competizione condotta nei termini di quella che viene definita una strategia “società centrica”. Alludiamo a una strategia multidimensionale che fa ricorso a mezzi di intervento non militari, ma non per questo meno efficaci come, nel campo della comunicazione, l’informazione, l’azione nello spazio cyber, avendo come obiettivo l’indebolimento delle strutture portanti della società rivale.
È la “guerra ibrida”, appunto, così denominata per la sua connotazione non formalmente offensiva, ma non per questo meno destabilizzante, e che è andata assumendo un ruolo primario nella competizione fra le grandi ...[continua]

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