Acerra, Castel Volturno, Giugliano, Marcianise, Villa Literno, sono i nomi di alcuni dei comuni compresi nel vostro studio sulla Campania dove, dal 2005, l’Oms denuncia eccessi di mortalità e malformazioni alla nascita, causati da diossine, metalli pesanti e altri veleni provenienti dalle discariche abusive di rifiuti tossici. Puoi spiegare in cosa consiste il lavoro di biomonitoraggio umano e perché l’aspetto della comunicazione è così importante?
Il biomonitoraggio è il dosaggio dei principali inquinanti rintracciabili nei liquidi e nei tessuti del corpo umano, per esempio nel sangue, nel latte materno, nelle urine e nei capelli prelevati da un campione di popolazione. Con queste analisi si può valutare il livello collettivo di contaminazione dovuto all’esposizione a sostanze pericolose presenti negli alimenti, nell’aria, nell’acqua o nel suolo. Dalle ricerche che abbiamo curato negli ultimi anni e che hanno coinvolto le popolazioni di Gela in Sicilia, di Napoli e Caserta in Campania e di Taranto in Puglia -tuttora in corso- ci siamo resi conto che il tema del biomonitoraggio è estremamente delicato dal punto di vista della comunicazione. Perciò, come Istituto di fisiologia clinica, abbiamo deciso di svolgere una serie di studi per capire meglio che cosa pensano le persone coinvolte, quali sono le loro percezioni e come è meglio operare per trasmettere le informazioni raccolte. Da queste considerazioni è nato Corpi in trappola, lo studio svolto in Campania, dove le analisi chimiche sono state accompagnate da interviste fatte in profondità, per capire come le persone percepiscono l’ambiente in cui vivono e come si sentono, sapendo che l’inquinamento entra nel loro corpo.
In tutte le ricerche di biomonitoraggio umano a cui partecipa l’Istituto di fisiologia clinica (le ricerche epidemiologiche che utilizzano l’esame del sangue e del latte come dato di esposizione della popolazione) io mi occupo della documentazione che riguarda la modulistica: il consenso informato, l’informativa per i pazienti. Poi viene la parte più delicata, quella per cui serve maggiore professionalità, che è proprio quella della restituzione dei risultati a donatori, volontari e pazienti (nell’Istituto di Fisiologia clinica c’è anche un reparto ospedaliero che si occupa di malattie respiratorie e cardiache). Quest’ultimo libro, Se fossi una pecora, mi abbatterebbero? È nato proprio per provare a spiegare, in maniera semplice, che cos’è il biomonitoraggio umano.
Farsi fare le analisi dei propri tessuti o del sangue crea ansia, mette in uno stato di tensione. È ben diverso da un esame esterno sulla salute o da un monitoraggio dell’aria che ci sta intorno. Cominciamo a sapere qualcosa di quello che abbiamo dentro. Cominciamo a scoprire che ci sono delle cose dentro di noi di cui non conosciamo gli effetti.
A Napoli abbiamo fatto indagini sistematiche, sia con le interviste, sia con il lavoro del biomonitoraggio condotto dall’Istituto superiore di sanità assieme all’Istituto di fisiologia clinica, per conto della regione Campania. Il lavoro ha interessato una popolazione molto ampia: per le nostre analisi hanno donato il sangue 840 persone e 70 donne hanno donato il latte.
Il questionario che abbiamo sottoposto alle persone riguarda tutta la loro vita: il lavoro, dove abitano, le condizioni delle abitazioni, se hanno animali, se fanno giardinaggio, se si occupano di motori... è importante sapere tutto ciò che possono aver maneggiato.
La parte finale del questionario, quella che ho curato io, interpella le persone relativamente a come percepiscono l’ambiente. Grazie a quest’indagine, abbiamo capito tutta una serie di cose interessanti sulla percezione, che ci sono ser ...[continua]
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