Anna Hilbe vive a Bologna, dove gestisce la libreria "Libri liberi”.

Da qualche mese hai aperto una libreria "non commerciale”. Puoi raccontare?

Tutto è nato leggendo un articolo che parlava di due librerie, una a Baltimora e una a Madrid, in cui appunto i libri non si comprano e non si vendono. Mi è sembrata un’ottima idea. The Book Thing di Baltimora è stata aperta una decina di anni fa, quella di Madrid qualche mese fa per iniziativa di un collettivo che, se ho capito bene, fa varie iniziative di invito alla lettura, alfabetizzazione, eccetera.
A Baltimora, il librario aveva cominciato a vendere i libri a 25 cents e poi aveva deciso di passare allo scambio, vedendosi costretto ad affittare un posto più grande... oggi contiene centocinquantamila volumi. Entrambe funzionano come quella che adesso ho aperto io: le persone che hanno dei libri che non usano più li portano; le persone che desiderano prendere e leggere dei libri, li prendono. Lo scambio non è obbligatorio, nel senso che uno può solo prendere o solo portare o quello che crede.
Qualche giorno dopo aver visto questo articolo -in realtà non avevo pensato a niente, se non che mi sembrava un’esperienza interessante- sono passata davanti a questa piccola bottega che stavano mettendo a posto e ho chiesto quanto fosse l’affitto, scoprendo che era modesto, una somma che potevo permettermi e così ho cominciato.
Come funziona in concreto?
Quando le persone portano i libri, io metto un timbro con il nome della libreria e la frase "questo libro non si compra e non si vende”. Prima di aprire mi sono informata se dovessi adempiere a delle cose burocratiche o amministrative, ma tutti gli assessorati che ho consultato mi hanno detto che loro un’esperienza così non la conoscevano, quindi non avevano niente da dirmi, se non che probabilmente serviva un registratore di cassa, al che gli ho risposto: "Il problema non si pone perché il denaro non circola”.
L’altro vincolo è che non dovevo avere un tavolo con delle sedie perché sennò sarebbe diventata una sala di lettura e questo evidentemente avrebbe comportato altre cose.
L’idea ti è venuta vedendo questo posto...
Sì, è stato proprio vedendo questo posto, piccolino e però con una bella vetrina, in più vicino a casa mia, per cui anche comodo... Così, nel giro veramente di poche ore, sono partita. È stato buffo. Poi una persona a me cara mi ha regalato delle librerie e due tavoli. Ci ho subito portato i libri miei e di mio marito, che è americano, quindi tutti libri in inglese, poi ho chiesto agli amici più stretti. Quando ho aperto, la libreria in realtà era abbastanza vuota.
Dicevi che immaginavi una cosa molto tranquilla e invece...
Mi ero immaginata che io venivo qui e poi, ogni tanto, entrava qualcuno, cercava dei libri... E invece la cosa è molto piaciuta. Vengono principalmente persone che vivono nel quartiere, anziani, ma anche giovani coppie, quelle più avanti in età poi mi raccontano... devono avere delle biblioteche molto belle, spesso si tratta di persone colte. Ma vengono anche persone che forse non hanno mai letto molto in vita loro e però trovare una libreria comoda, e anche gratuita, insomma, è una cosa che apprezzano: uscendo a far la spesa passano di qua e prendono qualche libro. Poi ci sono quelli che mi mandano i figli, che, a loro volta, vengono con i bambini. Ci sono anche molti studenti perché qui vicino ci sono due o tre sedi universitarie.
Devo dire che arrivano sempre persone gradevoli, con le quali io, come dire, mi trovo bene, nel senso che capisco che i libri, per loro, sono una cosa importante. Gli studenti di solito sono molto interessati alla narrativa, ai fumetti, se fanno il Dams, e poi al cinema, alla filosofia... poi sai, dipende da quello che ho qui...
Non è necessario che chi prende un libro ne porti un altro...
La cosa è molto particolare. Moltissime persone, giovani e vecchi, ma principalmente direi i giovani, hanno una sorta, non so come chiamarlo, di rispetto: non prendono se non portano. Una delle prime sere che avevo aperto, un ragazzo molto carino è arrivato tutto meravigliato: "Ah, ma questo libro è bellissimo”. Gli dico: "Prendilo!”. "No, no, no, assolutamente, prima vado a casa a prendere il mio libro”.
Oppure un amico mi aveva portato un libro che per lui era stato un grande dono, cosa che ho apprezzato molto, e uno studente di filosofia che lo desiderava m’ha detto: "Ma chissà cosa devo portare per prenderlo!”, "Guardi, non deve portare niente”, "No, non m’azzardo. Adesso vado a casa e guardo cos’ho...”. È anche un modo di dar valore alle cose. C’è molto questa cosa...
Ci sono poi già delle persone che sono diventate dei portatori abituali e allora hanno meno questo problema di prendere se non portano.
Com’è organizzata la libreria?
Come vedi, comincia con vocabolari e grammatiche. Siccome in questa zona ci sono molti lavoratori stranieri, pensavo che potesse essere interessante avere questi strumenti. Poi c’è la narrativa, i libri di viaggio, biografie e autobiografie, poesia... diciamo le categorie classiche. E ovviamente la saggistica. Diciamo che è un po’ una libreria "in progress”, in movimento. Per dire, un giorno una ragazza, una fotografa mi ha portato dei libri molto belli di fotografia, io non avevo un settore di fotografia, ora ce l’ho! Così come ci può essere un settore di storia o di politica o di diritti degli animali; la libreria vive un po’ su quello che le persone mi portano. Ora c’è un sovrappiù di libri gialli, ma, d’altra parte, se uno entra in una libreria cosiddetta "normale” ormai i libri gialli sembrano la maggior produzione mondiale.
Personalmente, io ci tenevo molto ad avere una sezione di libri in lingue straniere. Per il momento ho libri in francese, inglese, tedesco, spagnolo, però vorrei avere dei libri anche di altre lingue non europee. Una ragazza pachistana mi ha portato dei bellissimi libri di poesie scritti in urdu, anche dei testi molto belli su carta preziosissima... Infatti, poi, qualcuno li ha presi, non so se sapesse leggere quella lingua, ma i libri erano proprio belli.
Quando viene qualcuno, tu cosa fai?
In realtà non ho moltissimo da fare, se non del lavoro di facchinaggio. Ovviamente mi interessa farmi almeno un quadro dei libri che entrano, anche perché così, se qualcuno mi chiede qualcosa, insomma, qualche idea ce l’ho. Comunque, di fatto, non è un lavoro impegnativo.
Anche perché chi entra può sfilare il libro dalla libreria senza passarlo a me. In realtà però c’è sempre uno scambio.
Avendo aperto solo due mesi fa, molte persone vengono per vedere, per capire... È diventato un posto di quartiere, ma ora la voce si è diffusa e vengono anche persone da altre zone, casomai solo per curiosità. Fuori c’è una cartolina che spiega cos’è la libreria, poi è uscito un articolo su un giornale, però, in genere spiego. Devo dire che io poi sono molto curiosa di vedere cosa prende la gente, alle volte lo chiedo. Poi ci sono quelli che si arrangiano: "Le lascio questo e prendo questo”. Ci sono già gli abituali. Una decina di persone viene ogni settimana, anche più spesso e questo è piacevole.
Non ti aspettavi un tale afflusso di gente...
Assolutamente no, è stato sorprendente. Non dico una cosa eccezionale, però, insomma, io raramente mi trovo sola in libreria. C’è sempre qualcuno. Quando poi mi trovo da sola, essendo un tipo ordinato, anche troppo, metto in ordine, dopodiché, come mi è capitato, arriva uno con un saccone e devi ricominciare... Comunque vedo che molte persone hanno anche voglia di parlare. Qui ci sono parecchi studenti fuori sede e molti dal sud; a loro questa cosa piace molto, per vari motivi. Prima di Natale, alcuni di loro sono venuti e hanno preso i regali per i familiari da riportare al Sud, è stato bello.
Il fatto che manchino un tavolo e delle sedie non impedisce la convivialità...
Guarda, la libreria di Baltimora, almeno dalle foto, è uno di quei posti che ho visto quando vivevo negli Stati Uniti, queste enormi librerie, neanche particolarmente belle o eleganti, anzi, tutt’altro, con queste grandissime scansie. Addirittura fuori c’è un cassonetto dove la gente butta i libri, quando la libreria è chiusa. La libreria di Madrid ha anche un divano. Qui da me si in effetti si può stare solo in piedi, anche perché è talmente piccolo... Però ho notato che le persone, quando sono qui, forse proprio perché il posto è piccolo, per cui inevitabilmente si sente quello che le persone stanno dicendo, a partire dai libri, cominciano a parlare fra di loro. Questo a prescindere da me. Cioè, la gente si ferma qui e spesso da un libro parte un’osservazione generale e si comincia a chiacchierare; quando questo avviene è gradevole... Anche ieri sera è venuta una mia amica, parlavamo di un film con Robert Redford appena uscito e c’erano altre due persone, una l’aveva visto e una no e allora abbiamo preso il Mereghetti per capire quanti anni avevano gli attori e in quali film erano stati...
Che orari fai?
La libreria è chiusa due giorni, al lunedì e al giovedì, gli altri giorni è aperta dalle dieci e mezza alle undici e mezza e dalle quattro alle sette. Poi è aperta la domenica pomeriggio.
Sì, in effetti, mi sono presa un bell’impegno. D’altra parte non ho mai pensato troppo prima di cominciare le cose...
Tu sei stata tra le fondatrici della libreria delle donne qui a Bologna.
Sì, eravamo io, Enrica Casanova e altre tre, quattro amiche. La libreria delle donne durò oltre quindici anni, dal ‘77 al ‘94. Adesso è stata aperta in un altro luogo, da un altro gruppo di donne. Però questa è un’esperienza completamente diversa.
Qualcuno si è proposto di aiutarti...
Diverse persone, donne ma non solo, mi hanno chiesto se possono venire, offrendosi in caso di bisogno.
Ora ho saputo, sempre attraverso una frequentatrice della libreria, che una donna, a Licata, in Sicilia, ha aperto una cosa simile appoggiandosi ad un gruppo di giovani che hanno un circolo e ci siamo messe in contatto. Non solo, due o tre, sempre donne, di altre città, mi hanno chiesto informazioni, vorrebbero ripetere la stessa esperienza. Bello, no?
Poi, sai, ogni volta le cose possono assumere forme diverse. Adesso, ho deciso, potendolo fare, di pagare io questo affitto, che è modesto.
In altre situazioni, uno lo può fare a casa propria o chiedere un finanziamento al Comune o a qualche assessorato. Molte persone mi chiedono come sta in piedi questa cosa e io tranquillamente spiego che non sono finanziata, che le spese sono a carico mio. In realtà, quello che mi preoccupa di più è l’Enel, perché qui non c’è il riscaldamento e quindi ho dovuto mettere due stufe. Comunque, potendo, ho preferito non chiedere niente a nessuno perché, insomma, volevo essere indipendente, sufficientemente autonoma.
Hai anche degli utenti inattesi...
Vengono qui delle persone che lavorano in ripari notturni, in questi posti d’accoglienza. È uno dei motivi per cui vorrei avere più libri in lingue non europee. In genere mi chiedono dei libri non impegnativi, magari dei fumetti. Ho scoperto che questo scambio di libri, per quanto in modo un po’ più informale, avviene anche in altri posti. Per esempio, è venuta qui la signora che segue la biblioteca per i bambini ricoverati. È stato curioso perché mi ha detto che per bambini ne avevano già molti e però le servivano dei libri per i genitori che assistono i figli. La cosa si sta diffondendo. Si è presentato un signore: "Sa, il mio dentista m’ha detto: invece di quelle brutte riviste, pensavo di mettere dei libri per i miei pazienti che aspettano”, figurati, gli ho detto: "Glieli porto io, glieli porto io!”.
Adesso poi si vedrà se è solo la novità che desta interesse o se la cosa continua...
Per ora, le scansie che hai ti sono sufficienti?
Sì, facendo i miracoli... Avrei l’altezza, ma so per esperienza che la gente in alto non ci guarda mai. Il libraio di Baltimora ha un sito divertente dove si vedono i libri più buffi che gli sono arrivati. Allora c’è la copertina di un libro intitolato Come operarmi al cervello da solo, oppure Come evitare le navi grandi se sei in moscone, cose così. È un tipo molto simpatico. Ho pensato che anche a me piacerebbe fare una specie di vetrinetta dei libri che vorrei tenere. Per esempio ho una rivista americana degli anni Settanta, è delle Pantere Nere, ci sono articoli, poesie... e poi ho un "Cahier du cinema”, mi hanno spiegato che è molto importante, perché è un numero unico uscito nel ’71, con Malcolm X...
(a cura di Gianni Saporetti)