Leo Polverelli, artigiano frigorista di Bellaria, oggi è in pensione.

Può raccontarci la sua storia di lavoro?

Io provengo da una famiglia molto tranquilla, il mio lavoro l’ho iniziato a causa di una disgrazia. Si dice che non tutte le disgrazie vengono per nuocere. Nel 1954, mentre davo gli esami per la terza industriale, mi ha fatto male un orecchio, per cui sono dovuto andare a Bologna a operarmi. Sembrava una cosa piccola, invece era grave. Dopo questa operazione sono stato esonerato dal servizio militare, che allora era obbligatorio, e sono andato a lavorare. Nella ditta dove ho preso servizio si facevano le otto ore, io facevo il magazziniere. Mi hanno chiesto se volevo imparare a fare il frigorista. Era un mestiere che si faceva dopo l’orario di lavoro. Ho cominciato a capire il perché delle cose, il perché dei vari pezzi, le tubazioni, e mi sono appassionato. Lì c’era anche mio fratello, che poi si è licenziato, e a un certo punto mi ha chiesto se volevo andare a lavorare con lui. Ho accettato. Negli anni, mi sono specializzato e quella situazione non mi andava più bene, anche perché non mi bastavano i soldi. Avere mille lire in tasca andava bene quando ero giovane, ma quando ho iniziato a fidanzarmi, ad avere la macchina, non bastavano più. Così ho deciso di mettermi per conto mio per vedere se riuscivo a fare qualche cosa. Mi sono detto: "Se mi va male, torno come prima”.
Mi sono sposato nel ’67, nell’ottobre del ’68 ho iniziato la mia attività.
Quando ero alle dipendenze di mio fratello dovevo sottostare: era lui che prendeva tutte le decisioni e aveva anche tutte le responsabilità, è logico. Dopo, invece, ero io ad avere le responsabilità; molte volte ho sbagliato, non mi sono fatto pagare e con questo sistema la gente ha acquistato fiducia in me.
I clienti li ho trovati con il passaparola, perché quasi tutti i frigoristi giovani iniziano in questo modo. Si comincia servendo i gelatai e i birrai, che pagano poco, però era un modo per farsi conoscere. Quando si andava per il gelataio, il cliente mi diceva: "Guarda, avrei anche questo, cosa mi consigli?”. Io dicevo cosa doveva essere fatto secondo me e non aveva importanza se poi veniva a ripararlo da me o da un’altra parte. Subito magari non facevano il lavoro da me, però successivamente mi davano soddisfazione, dicendomi: "Lo sai: quello che mi hai consigliato andava bene”. Così, la volta dopo, chiamavano me. Ho avuto anche tante soddisfazioni. I clienti hanno capito che mi piaceva il lavoro fatto bene. Ancora oggi mi chiedono un consiglio, io glielo do, e poi mi chiedono: "Sei in grado di farlo tu?”. E io dico sì o no a seconda.
Può spiegarci cosa fa esattamente il frigorista?
Il frigorista crea il freddo. Creare il freddo non è neanche l’espressione giusta, si tratta di togliere del calore all’ambiente circostante. Questo è il principio del freddo.
Come strumenti, oltre a un tubo più grande, c’è un compressore e un tubicino capillare, attraverso il quale si ottiene l’evaporazione.
L’evaporazione non è altro che cambiare di stato il liquido. Questi tubi vanno tutti dimensionati, calcolati, cioè non va bene un tubo qualsiasi. Ogni tubo deve essere calcolato in base alla potenza del compressore e a seconda del tipo di evaporazione che vogliamo ottenere.
Se io voglio far evaporare questo gas a meno dieci di espansione, io nel tubo che mi corre avanti a quest’altro tubicino ho una evaporazione di meno dieci. Con un’evaporazione maggiore, meno trenta, otterrò ancora più freddo. Per fare questo, ho bisogno di sapere la potenza del compressore, dopodiché devo dare una lunghezza e un diametro a questo tubo.
Ho fatto dei corsi per capire cosa ci voleva e cosa non ci voleva. Bisogna essere sempre aggiornati perché da quando mi sono messo per conto mio fino adesso le cose sono cambiate in un modo strabiliante.
Com’è cambiato il suo lavoro negli anni?
All’inizio si costruiva un frigorifero dalla A alla Z. Le celle frigorifere, che sono delle camere fredde, venivano fatte in muratura. La muratura consisteva nel creare un rettangolo, un quadrato, con un muro perimetrale esterno, poi isolare; anche qui inizialmente c’era il sughero, poi la lana di vetro, poi è venuto il polistirolo, che è un derivato del petrolio, poi è venuto il poliuretano, in lastre oppure iniettato. La lana di vetro è molto isolante, solo che con il tempo tende ad assorbire l’acqua, si appesantisce e cala verso il basso, lasciando scoperti i muri, di conseguen ...[continua]

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