Vorremmo parlare delle madri. Negli ultimi anni a livello editoriale, accademico, popolare, di intrattenimento, eccetera, si parla molto della figura del padre: il padre eclissato, sparito, evaporato… insomma, quale sarebbe il nuovo ruolo del padre, se ne ha ancora uno. Mentre stranamente, a livello del pubblico discorso, la figura della madre rimane indiscussa, come se il suo fosse un ruolo dato, naturale. Siccome probabilmente non è così, la domanda che ci ha mosso è stata: e la madre? Che fine hanno fatto le madri?
Sono sempre lì. Soprattutto nei paesi latini la madre è la figura dominante, quasi intoccabile: c’è una specie di tabù sulla maternità, che però è solo formale perché in realtà della donna madre non importa niente a nessuno, fin dalla gravidanza: ci si occupa del feto, della sua salute, ma della salute fisica e psichica della madre assai meno, se non in funzione del figlio che deve nascere. Perché appunto lo si considera un ruolo naturale. In realtà quello materno non è solo un ruolo naturale, è anche un ruolo culturale. Certamente vi è un dato biologico: la maternità è un istinto, ma solo come riproduzione, non come accudimento, educazione, eccetera; tant’è vero che queste pratiche si esplicano in modi estremamente diversi a seconda delle culture e delle epoche.
Questo ruolo culturale in realtà è cambiato ma non ha ancora trovato un equilibrio nella società in cui viviamo. Fino a cinquant’anni fa, in una cultura ancora prevalentemente contadina, il ruolo della madre stava all’interno di un mondo femminile solidale, che spesso era la famiglia, la tribù. Nel giro di tre generazioni si è polverizzato tutto.
Storicamente non vi è mai stata una condizione di così completa e totale solitudine come quella della donna madre con il suo bambino, mentre esce dall’ospedale da sola. Sì, ci sarà un uomo accanto a lei (che farà la sua parte, se la fa), ma non è affatto la stessa cosa.
"Che fine hanno fatto le madri?”, mi chiedi. Sono lì. Le donne continuano a riprodursi, però il ruolo materno è profondamente in crisi.
Anni fa, sono stata invitata a un convegno di pediatri di base -ero l’unica strizzacervelli- che non riuscivano a spiegarsi come mai le mamme fossero diventate così ansiose; avevano notato una mutazione della madre del neonato e volevano capire cosa stesse succedendo. Succedeva questo: la madre del neonato è sola e ha paura, perché non si fida più del suo istinto, e intorno a lei è scomparso quel mondo di donne più grandi che sapevano come contenere queste paure. Non esiste più niente di tutto questo: la madre è sola e piena di paure e allora si rivolge all’esperto.
Quei pediatri raccontavano di manager affermate, professioniste, insegnanti, donne che sanno muoversi nel mondo, ma che di fronte al bambino erano totalmente disarmate, per cui telefonavano al pediatra di notte: "Il bambino non ha mangiato”, oppure: "Continua a piangere”: quando tutti sappiamo che i bambini piccoli hanno le coliche e quindi piangono. Era la manifestazione di questa enorme insicurezza alimentata da una società che in effetti non protegge le madri, né durante la gravidanza né dopo.
Dicevi che questo ruolo in crisi è anche molto pericoloso.
Tutta una serie di situazioni una volta venivano contenute all’interno del gruppo familiare, adesso non più. La psicosi puerperale, per cui le donne ammazzano i loro bambini (e qualche volta anche se stesse) è una conseguenza di una depressione post partum trascurata; depressione che a sua volta è conseguenza del cosiddetto baby blue, che è invece una condizione assolutamente normale di tutte le donne che hanno un bambino. Il baby blue è il lutto della separazione: si vive l’immensa, inesprimibile gioia di tenere la propria creatura tra le braccia, sapendo allo stesso tempo che va via per sempre, che non sarà mai più con noi così com’è stata fino a quel momento... Le donne non vedono l’ora di partorire, però in quel momento misurano anche il potere doloroso dell’abbandono; piangono e sono felici contemporaneamente; è ...[continua]
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