Lei studia da molti anni i rapporti di genere e tra le generazioni. Vorremmo capire com’è cambiata la famiglia e dove tracciamo oggi i suoi confini.
È una domanda molto complicata, non solo per eventuali motivi ideologici, ma anche perché nella nostra consuetudine quotidiana dove mettiamo i confini quando parliamo della nostra famiglia dipende dal contesto.
Quando io dico la mia famiglia, "i miei”, devo sempre specificare, innanzitutto nella mia testa, se sto parlando della famiglia che ho fatto con mio marito o la famiglia da cui provengo. Entrando in ambito giuridico, di diritto civile, il perimetro cambia ulteriormente; se poi si parla di "parenti tenuti agli alimenti” siamo a una visione già molto più allargata dalla famiglia. Insomma, i confini sono mobili e diversi a seconda dei casi e delle circostanze. Se a tutto questo aggiungiamo il "colore” che diamo a cosa mettiamo dentro la famiglia e cosa ci aspettiamo dalla famiglia, emergono culture familiari diversissime, non solo tra noi e i famosi "altri”, ma anche all’interno di una stessa società.
Quando insegnavo, il primo giorno, alla prima ora di lezione di sociologia della famiglia, proponevo agli studenti di scrivere in un foglio chi mettevano dentro la loro famiglia. Era ogni volta una bellissima esperienza perché dentro la famiglia ci finiva di tutto e di più. Non erano solo i miei nipotini a inserire Mirtilla, la gatta, tra i membri della famiglia, lo facevano anche gli studenti. Nel momento in cui famiglia evoca un colore emotivo, un’affettività, ci può stare l’animale ma ci può stare anche una nonna e non un’altra, una zia e non un’altra; ci può non essere il genitore separato che vive lontano, ma ci può essere il genitore separato e la sua nuova compagna, a seconda di come sono le relazioni. Qualcuno metteva quell’amica perché "fa parte della famiglia”; c’era chi metteva il fidanzato della sorella, e così via.
Era un esperimento molto interessante anche perché quasi tutti avevano poi una famiglia molto standard dal punto di vista formale: le scelte confermavano quello che faticosamente e più concettualmente sto cercando di dire io e cioè che i confini dipendono dallo sguardo e dalla motivazione che sta dietro questa domanda.
Poi ovviamente esistono le varietà culturali, perché famiglie formalmente identiche dal punto di vista della formazione, della composizione, persino della strutturazione giuridica, possono in realtà indicare modelli di genere, quindi rapporti uomo-donna, e rapporti di generazione, cioè cosa ci si aspetta gli uni dagli altri, radicalmente differenti.
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 si attuò la parità uomo-donna, non c’era più il capofamiglia. Io appartengo ancora alla generazione che ha fatto firmare le pagelle al "padre o di chi ne fa le veci”. Il nuovo codice inseriva però un’ulteriore novità non sufficientemente sottolineata, cioè in parte rovesciava il rapporto tra generazioni: il linguaggio non era più quello dei doveri dei figli nei confronti dei genitori, ma dei doveri dei genitori nei confronti dei figli. Si trattava di un vero mutamento culturale che quella riforma in parte rispecchiava e in parte facilitava. Questo è sempre vero con le norme giuridiche: in parte seguono, in parte anticipano.
Altro grande mutamento è stato quello della tardivissima perfetta equiparazione dei figli naturali e figli legittimi. Lì il passaggio è stato lunghissimo. Prima da illegittimi son diventati naturali, poi c’è voluta un’altra ventina d’anni e siamo arrivati al 2012. Quando lo dico all’estero mi guardano con gli occhi fuori dalla testa.
Anche questo è un grande mutamento. Già l’art. 30 diceva che c’erano degli obblighi anche fuori dal confine stretto della famiglia legittima. Questa equiparazione scardina ulteriormente il concetto di famiglia perché sancisce che i rapporti diretti tra generazioni non sono più dipendenti dai rapporti orizzontali di coppia. È un passaggio fondamentale.
Com ...[continua]
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