Il 22 agosto 1938 si svolge il censimento degli ebrei italiani. E’ la premessa della persecuzione che vedrà ragazzi e professori cacciati dalle scuole, i genitori colpiti nella dignità sociale, nel lavoro, nei beni. Grazie a quegli elenchi, nel ’43, i tedeschi, coadiuvati dai fascisti italiani, potranno arrestare e deportare più di 8000 ebrei, circa il 20 per cento della popolazione ebraica italiana, la quasi totalità dei quali non tornerà più.
E tutto iniziò il giorno in cui a quei 39 studentesse dell’Alfieri di Torino fu comunicato che quella scuola non era più la loro.
Noi ringraziamo le giovani studentesse dell’Alfieri di oggi che ci hanno permesso di pubblicare la loro ricerca. A ricordo di una dei giorni più brutti e tristi della storia d’Italia.

La situazione prima e dopo
La formulazione di alcune domande era finalizzata a focalizzare l’attenzione degli intervistati su ricordi riguardanti la loro situazione prima delle leggi razziali, in modo da cogliere il loro grado di integrazione e rilevare le contraddizioni che si presentavano.
Dalle risposte degli intervistati è risultato che prima del ’38 la loro adolescenza era vissuta naturalmente, che erano perfettamente integrati sia in ambito scolastico che in ambito familiare, sia nei rapporti coi coetanei. E’ disarmante l’affermazione del signor Muggia, che dichiara con schiettezza "Io avevo 13 anni, ero un ragazzo che non sapeva niente di queste cose".
Per pura combinazione tutti gli intervistati appartenevano a famiglie laiche , che non partecipavano alla vita della Comunità.
Nella Errera ci riferisce: "Prima eravamo molto assimilati, non conoscevamo nessuno, non avevamo fatto le scuole ebraiche, mai niente, niente!". Per loro essere ebrei non era motivo di differenziazione, non aveva rilevanza, poiché, non seguendo la tradizione religiosa, nella vita quotidiana, non avevano motivo di ricordarsi di questa loro identità.
Sono risultati particolarmente significativi i ricordi che ci offrono particolari divertenti, come l’aneddoto che ci ha riferito la signora Errera che ha messo a nudo la sua innocenza di bambina; dice: "Quando ero piccola e andavo alle adunate dei Balilla e delle Piccole Italiane, con la musica, tutti i colori, poi dicevo: -Ma che bello che era-". Su questa linea si comprende l’affermazione della signora Fernanda Montel Anau, che dichiara: "Io ero la fascista della scuola, perché lì si doveva esserlo per forza. Che mi piacesse l’argomento proprio no, a nessuno in famiglia. Era una dittatura, chi può amare una dittatura?".
C’è stato chi, come l’avvocato Guido Fubini, invece, sentiva il bisogno di dichiarare la sua ebraicità, ci ha infatti raccontato che da ragazzo, volendosi iscrivere agli scout ha scelto senza perplessità il gruppo israelita e ci ha riferito la reazione del padre: "Male, avrei preferito che ti fossi iscritto a quelli laici, perché ti iscrivi là? Non devi differenziarti dagli altri", ma l’adolescente replica: "Se si differenziano i cattolici, perché io non dovrei farlo?".
Un discorso a parte è da effettuare per la prof.ssa Giorgina Arian Levi, che ci ha fornito un quadro più nitido della situazione precedente alle leggi razziali: ci riferisce: "Nel mese di agosto a Rodi ero già molto allarmata. Sì, ecco già nel ’37 si percepiva, no, però, si era.., eravamo proprio ottusi da 15 anni di dominio fascista! Non si aveva nessuna capacità di... Bisognava trascorrere un po’ di tempo all’estero... no, bisognava avere soldi"
"In Italia si cominciò a parlare di sionismo molto tardi, sotto il fascismo, perché non sapevamo niente, direi verso il ’33-’34, anche perché Mussolini aveva degli interessi nel mondo arabo, quindi aveva ricevuto dei dirigenti sionisti. Ma non si capiva mica il clima politico, niente, eravamo di un’insensibilità politica assoluta. Io questo lo dico sempre, di un’ignoranza enorme, non sapevamo nulla, vivevamo giorno per giorno."
Anche l’avvocato Guido Fubini delinea una situazione simile, dice: "In Italia nessuno sapeva niente, insomma in Francia queste cose si vivevano già da anni, quando sono venuto in Italia, mia nonna non voleva neanche sentire, per lei erano cose... In Italia non si sapeva niente di tutto ciò, né nella mia famiglia se ne parlava, perciò io, scosso da quei racconti, sentivo il bisogno di sfogarmi. Tra ragazzi era una cosa lontana, era molto più sentita in Francia. In Italia si partecipava alle adunate fasciste vestiti da Balilla o Avanguardisti, si inneggiava, non s ...[continua]

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