Il tuo ultimo libro, Brevi lezioni sul linguaggio, ha un carattere spiccatamente multidisciplinare. C’è una ragione per questa scelta? Volevi riempire un vuoto editoriale italiano?
Il libro nasce dalle mie lezioni all’università di Reading. I miei studenti hanno retroterra culturali molto variegati, perciò ho dovuto trovare un modo appassionante per avvicinare alla linguistica persone con interessi diversi. Il lettore ideale è una persona che, pur non avendo basi tecniche, vuole saperne di più sul linguaggio inteso come abilità umana. Ma la tua domanda sull’editoria italiana è molto sensata. È già stato detto in varie recensioni: questo libro si distingue dagli altri perché, in genere, i libri di linguistica nostrani sono focalizzati solamente sull’italiano e si concentrano sulle strutture (fonetica e sintassi) fornendo sì agli studenti competenze tecniche, ma rinunciando a metterle in relazione con altre discipline come neurolinguistica, ecolinguistica, biologia, storia del linguaggio. Ho voluto dare un taglio originale e multidisciplinare al libro, ma per il semplice motivo etico di avvicinare quante più persone possibile alla bellezza dello studio del linguaggio.
Perché non si scrivono libri multidisciplinari?
Forse perché i libri di linguistica italiana sono rivolti per lo più a un pubblico universitario. Esistono anche manuali più divulgativi, pubblicati in gran numero e con successo, ma di solito si concentrano sull’italiano contemporaneo in modo prescrittivo, concentrandosi quindi sul lessico e sul vocabolario, su come parlare e scrivere correttamente, e così via. Questo è un libro di linguistica generale, che non parla cioè di una lingua specifica, ma del linguaggio inteso universalmente, come abilità appunto. Ci sono più di settemila lingue esistenti al mondo: mi sono voluto concentrare su ciò che le unisce.
Nei capitoli che dedichi alla descrizione delle diverse lingue del mondo e alle loro peculiarità affiora il tema dell’ecolinguistica e della salvaguardia della biodiversità del linguaggio. Perché è importante salvare le lingue a rischio di estinzione?
La pluralità delle lingue è una ricchezza perché ogni gruppo di parlanti ha sviluppato storicamente modi diversi di raccontare e descrivere il mondo. Di questo si occupa l’ecolinguistica: del rapporto fra il linguaggio e l’ambiente circostante -un ambiente non solo ecologico, ma evidentemente anche culturale. Si tratta di capire come e perché le lingue abbiano sviluppato lessico e strutture diverse per rispondere a esigenze ambientali specifiche.
Ci sono alcuni esempi classici fatti dagli antropologi del linguaggio: in alcuni ambienti, per orientarci, non usiamo i punti cardinali, ma piuttosto un sistema fondato sulla dicotomia alto/basso, ad esempio in collina, o lungo un corso d’acqua se siamo cresciuti vicino a un fiume. Il linguaggio serve a darci informazioni per sopravvivere in un ambiente specifico. La globalizzazione ha fatto sfuggire l’importanza di questo aspetto: tendiamo oggi a vedere in modo omogeneo tutti gli ambienti. Ora, di queste settemila e passa lingue, solo la metà sono scritte, la maggior parte di esse sono parlate da pochissimi parlanti e forse alcune non le abbiamo ancora scoperte. In comunità isolate, dove c’è meno interferenza dall’esterno, il linguaggio è davvero uno specchio per capire come si vive in quel territorio.
C’è il rischio che la globalizzazione ci privi di questo patrimonio?
Intendiamoci: l’ecolinguistica non ha come obiettivo quello di condannare la globalizzazione. Non si tratta di lamentare, “pasolinianamente”, la scomparsa del dialetto a causa della diffusione dell’italiano. Piuttosto, l’ecolinguistica cerca di capire cosa succede e come cambia la distribuzione linguistica sul pianeta, o quali possono essere le cause della sopravvivenza e della scomparsa ...[continua]
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