Hai trascorso l’infanzia durante il fascismo...
Sono nata a Milano nel 1935; all’epoca mio padre era alla Banca commerciale con Mattioli. Ho frequentato la prima elementare in quella città; erano i giorni in cui si raccoglieva l’oro per la patria, i ragazzini arrivavano carichi… non so di cosa. Ma i miei misero in quella busta, che ci avevano dato a scuola per farla riempire, forse un gomitolino di lana, insomma, una sciocchezza. Certo è che la maestra reagì: “Tu non ami la patria!”. E io tornai a casa in lacrime, ero una bambina che non amava la patria... Non so cosa mi dissero i miei genitori per consolarmi. Mi è rimasta impressa la mia disperazione per non essere abbastanza patriottica.
Poi arrivarono i bombardamenti. Conservo ancora quell’immagine: noi abitavamo in una casa nuova a Città studi, a Milano; era un edificio piuttosto alto, con un terrazzo. Non so se ci eravamo prima riparati in un rifugio, quello che ricordo perfettamente è che, finito il bombardamento, andai con i miei genitori sul terrazzo e intorno vidi un cerchio di fuoco... Tutta Milano era stata bombardata e c’erano incendi dappertutto. Questa visione è per me indimenticabile.
Dopodiché sfollammo a Bergamo, anzi a San Vigilio, sopra Bergamo Alta... Ci sono due funicolari, una da Bergamo moderna a Bergamo alta, e una seconda da Bergamo Alta a San Vigilio. Noi stavamo in una casa colonica, di proprietà, pare, di un gerarca fascista, un po’ isolata; vicino a noi c’era un villino molto più elegante del nostro, che apparteneva a certi signori Tulli, con cui non avevamo rapporti, ma che poi seppi erano comunisti, quindi erano antifascisti come noi. Mio padre ci raggiungeva la domenica, di lui ho questa immagine: Giorgio e io ai suoi lati e lui che ci legge l’Orlando Furioso nel lettone grande dei genitori.
Un altro fatto di cui ho una memoria nitida è quando nella casa di via Bassini, in Città studi, nella sala da pranzo (di cui ricordo ancora i mobili stile chippendale) mio padre e Adolfo Tino scrissero quel famoso memoriale sulla situazione italiana che Enrico Cuccia portò a Lisbona per consegnarlo a George Kennan, il quale lo diede a Sforza che lo fece uscire come articolo sul “New York Times” nel giugno del 1942. Poi, nel gennaio 1943, uscì il primo numero de “L’Italia Libera”, il giornale del Partito d’azione, con i punti programmatici, e tra questi vi era in primo luogo la scelta della repubblica. Croce, che era liberale e monarchico, si arrabbiò moltissimo quando lo lesse, e allora mio padre e Adolfo Tino andarono da lui, tentarono di placarlo e lo persuasero a scrivere una risposta. Croce accettò. Questa risposta, che doveva essere pubblicata sul secondo numero, finì in mano a Bruno Visentini, che era quello che portava le bozze in tipografia, tutto in modo clandestino ovviamente. Ebbene, non si sa come, Visentini perse l’articolo! All’epoca non c’erano le fotocopie, era una copia unica... A Croce parve un evidente boicottaggio e non ci fu più verso: divenne nemico giurato del Partito d’azione.
Poi tuo padre scappò in Svizzera.
Nel 1943 ci fu una serie di arresti; lui era in ufficio a Milano, il portiere della Banca lo avvertì che la polizia lo cercava così riuscì a fuggire da un’uscita secondaria.
Siccome a Milano non l’avevano trovato, vennero a cercarlo a San Vigilio. C’era una specie di aia di fronte alla casa, dove quel giorno mio fratello e io stavamo giocando; mia madre stava in casa. Erano due poliziotti: uno entrò in casa per interrogare mia madre, l’altro cercò di estrarre qualche notizia da noi. Ma Giorgio e io non ne avevamo. Girarono un po’ intorno, guardarono la campagna sottostante, sulla quale si affacciava il cortile della casa. Alla fine se ne andarono.
Era stato Bruno Quarti, un giovane studente di medicina, membro del Partito d’azione, ad aiutarlo a uscire clandestinamente attraverso il confine con la Svizzera. Sia Bruno che la sorella Mimma furono entrambi molto attivi e molto coraggiosi nella Resistenza. Bruno poi è morto giovane. A casa dei Quarti, dove noi andavamo, veniva anche Ada Rossi. Lei era molto affettuosa, soprattutto con mio fratello che aveva quat ...[continua]
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