In queste settimane le istituzioni europee spesso non sono parse all’altezza della sfida che abbiamo davanti. Che giudizio possiamo dare?
Il giudizio purtroppo è quello consueto, nel senso che si fa qualche passo avanti, ma al di sotto delle necessità e con grande confusione. Poi, all’ultimo momento si troverà una soluzione, che sicuramente colmerà dei buchi con nuovi passi avanti, ma che lascerà molto di incompiuto. Per ora parliamo solo delle conclusioni raggiunte all’Ecofin, alquanto deludenti, lacunose e ambigue, che sono, però, solo una tappa del negoziato che vedrà la conclusione tra pochi giorni al Consiglio d’Europa.
Il passo avanti, tuttavia, c’è ed è l’intervento della Bce, tempestivo e adeguato, di acquisto programmaticamente illimitato nel mercato secondario di titoli di debito pubblico (e non solo), senza il quale ora saremmo in balia di un mercato finanziario che già prima dubitava della nostra solvibilità (e ora dubita ancor più) e che, in un circolo vizioso avrebbe assorbito il nostro debito a tassi di interesse insostenibili. Vi è stato anche un opportuno allargamento delle condizioni per il finanziamento delle banche; ed altrettanto opportuno è il provvedimento che ha sbloccato senza condizione i fondi strutturali (23 miliardi) che non siamo riusciti a spendere e che probabilmente sarebbero stati persi. In più, è stata riconosciuta la possibilità di sforare il debito e concedere aiuti alle imprese. È la parte in cui possiamo dire che l’Europa c’è. Ma l’Europa è anche fortemente inadeguata e carente.
Di fronte a una crisi di questo genere occorreva agire tempestivamente con dispositivi automatici, capaci di compensare il reddito che si andava via via perdendo per il blocco della produzione e impedire che gli Stati aggiungessero debito a quello esistente, senza comunque poter evitare una grave recessione e gravi sofferenze per individui e imprese. Parlo di dispositivi universalistici, non ad hoc per questo o quel paese. Ne parlerò più avanti. Il disegno poteva completarsi pensando a una forte ripresa degli investimenti per il dopo emergenza sanitaria, di cui poteva essere incaricata (ma ben patrimonializzata) la Bei, la Banca europea per gli investimenti; accanto a questo, per fronteggiare vere e proprie crisi di solvibilità, perché no?, poteva esistere uno strumento quale il Mes, ripensato nei suoi modi di concepire le condizionalità macroeconomiche e microeconomiche, dopo la tragica esperienza della Grecia. A lato, si poteva pensare a schemi di assicurazione della disoccupazione. Il tutto collocato piramidalmente in un bilancio europeo adeguato (non l’1% del pil europeo), che potesse essere finanziato anche dall’emissione di bond.
Invece si è mischiato tutto in questa fase della trattativa, strumenti per fronteggiare la crisi con strumenti preposti ad altro: un fondo di solidarietà (detto Recovery Fund) che non si sa come si finanzierà, per il quale si fa riferimento anche all’attuale bilancio europeo (che vanta un ammontare di 160-170 miliardi annui per tutte le spese quando ne occorrono tra i 1000 e 1500 miliardi per la sola crisi pandemica), e comunque farà prestiti agli Stati (quindi non ne allevia il debito, semmai ne riduce gli interessi); il Mes a cui ora hanno levato, sì, la condizionalità, ma non è comunque con il suo statuto uno strumento idoneo per fronteggiare una crisi generalizzata come questa (dotato al massimo di 400 miliardi); pure la Bei interviene impropriamente nella contingenza della crisi con una dotazione ulteriore (come ottenuta non è detto) di appena 200 miliardi, di cui possono usufruire enti locali e imprese anche medio piccole; vi è poi un fondo per la disoccupazione di 100 miliardi (che non è una assicurazione della stessa), con meccanismi complicati, finanziamento ignoto e utilità ridottissima (dato il dispositivo di garanzie). Quindi una grande confusione, che non corrisponde all’emergenza del momento.
Oggi il problema per noi non è tanto Eurobond sì, Eurobond no, perché finché la Bce fa il suo mestiere può pensare lei a tenere contenuti i tassi di interesse, accumulando titoli del nostro debito pubblico. Il problema non è chi è il nostro creditore, ma in che forma arrivano quest ...[continua]
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