Renzo Paris, poeta, romanziere e critico, ha insegnato letteratura francese nelle università di Salerno e Viterbo. Il libro di cui si parla nell’intervista è Miss Rosselli.

Chi era Amelia Rosselli, e com’è nata la vostra amicizia?
Ho conosciuto Amelia Rosselli a metà degli anni Sessanta, mi pare nel ’66. Dario Bellezza affittava una stanza a casa sua e una volta mi invitò a fare due chiacchiere e me la presentò.
Così cominciammo a frequentarci: mi telefonava e andavamo in giro assieme.
A un certo punto mi sono accorto che Amelia era sola: mi telefonava per farsi portare il latte la mattina, oppure perché andassi a comprare qualche medicina quando era malata. Quando succedeva, mi precipitavo giù da Monte Mario, dove vivevo con mia madre. Poi iniziammo a scambiarci le poesie. Io avevo pubblicato delle plaquettes, gliele avevo fatte leggere... le parlavo soprattutto di Variazioni belliche che a me era piaciuto molto e che considero il suo libro migliore. Abbiamo continuato a frequentarci regolarmente finché sono nati i miei figli. A quel punto ho dovuto staccare da tutto perché non avevamo nessuno che ci aiutasse. In quel periodo lei telefonava in genere durante la controra, poi la vedevo nei convegni...
In seguito era andata a Londra e al ritorno ricordo che mi disse: “Eravate tutti rivoluzionari adesso siete diventati tutti poeti”. Ci fece molto sorridere. E niente, alla fine la incontravo solo ai festival.
Mi è rimasta impressa nell’ultimo festival di Ostia antica del 1994, di cui c’è una foto in cui siamo tutti insieme: lei, Bellezza, io e Valentino Zeichen. Lei era già diventata un po’ gonfia per tutti gli psicofarmaci che doveva prendere. Mi chiese: “Come te la passi?”, ma con l’aria di dire: “Qua è finito tutto, siamo poeti... come diceva... serotini”, cioè ormai nella sera.
La nostra è stata una lunga amicizia, a tratti amorosa, però sempre di grande stima. Quando pubblicavo qualche libro, mi faceva una telefonata e io facevo con lei la stessa cosa.
Amelia era una persona molto presente, forte e anche dolce. Aveva questa voce roca, però profonda, come se non fosse nean­che la sua, una voce che in tutti questi anni non sono riuscito a dimenticare. Quando si stava insieme rideva, faceva delle grandi risate, a volte risatacce, diciamo. Era sempre allegra, poi però, improvvisamente, dall’allegria e dall’euforia si passava alla noia, era un passaggio brevissimo. Scoprii poco alla volta di questa sua malattia, che lì per lì non fu semplice da affrontare.
Ci puoi parlare della Rosselli nel contesto poetico di quel periodo?
Amelia era arrivata a Roma nel 1950. All’inizio era stata dura per lei. Il successo è venuto dopo, soprattutto negli ultimi 15 anni della sua vita.
A partire dagli anni Ottanta era diventata proprio una star, un personaggio pubblico, la invitavano nei festival più importanti, anche all’estero, Svizzera, Francia, ecc. Ricordo che quando leggeva aveva questa voce che accattivava...
Amelia raccontava che ancora all’inizio degli anni Sessanta, un giorno, mentre si trovava a casa di Moravia, era arrivato Pasolini. Lei sudava alla sola idea di dover dire a Pasolini: “Ti do i miei versi, cerca di farli pubblicare”. Comunque gli diede questi versi, Pasolini ci mise un po’ prima di darle una risposta, li lesse e li propose a Garzanti. Poi ci fu tutta una storia, anche perché lei voleva assolutamente che nel volume ci fosse un suo saggio sul rapporto con la musica. In effetti, all’epoca, Amelia pensava di essere più una musicista che una poetessa e quindi nella postfazione di Variazioni belliche, che è il suo primo volume, voleva precisare l’aspetto musicale di queste poesie, sul fatto che lei non aveva bisogno né della metrica classica, né del verso libero, le sembrava tutto alle spalle. Si soffermava sulla parola. La parola secondo lei era rumore prima ancora che significato. E spesso, proprio il rumore per creare un’armonia produceva la parola seguente... Il suo era un gioco molto legato alla forma e alla musicalità della poesia stessa. Tant’è vero che molti, anche i critici, hanno avuto difficoltà a capire questa cosa, perché hanno pensato al verso libero e non lo era; hanno pensato a delle metriche interne e non c’erano. Insomma, la sua è una poesia molto complicata perché viene dalla musica, da questa sua musica dodecafonica, diciamo sperimentale, cui si era dedicata prima di arrivare a scrivere le prime poesie.
Con l’amico Rocco Scotellaro aveva stabilito un rapporto a ...[continua]

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