Gli ultimi Stati generali della Cgil Lombardia hanno rappresentato una svolta, sia per la centralità che hanno assunto alcuni temi, a partire da quello dell’accoglienza, sia per lo sforzo di promuovere una maggiore partecipazione. Potete raccontare?
Fabio Ghelfi. Da una decina d’anni la Cgil Lombardia aveva avviato questa assise di confronto strategico, un luogo dove annualmente il gruppo dirigente era chiamato a discutere la tematica ritenuta centrale per il dibattito politico dell’anno e che vedeva coinvolto un numero ampio di dirigenti delle varie strutture, sia territoriali che di categoria. L’iniziativa era tradizionalmente incentrata sulla presentazione di dissertazioni tematiche di approfondimento cui seguivano alcuni interventi.
Nel frattempo, in diverse strutture si era spontaneamente manifestata la richiesta di sviluppare nuovi modi di confronto e di promuovere un maggior coinvolgimento delle persone nella costruzione delle idee. Negli ultimi anni era anche emersa l’importanza della condivisione di pratiche e con essa la questione politica, ma anche organizzativa, della partecipazione quale fattore portante della vita dell’organizzazione sindacale.
Questa disponibilità, e anche desiderio, di tentare strade nuove, nel 2019 ci ha portato a scardinare lo scenario classico e ad organizzare degli Stati generali radicalmente diversi, sia per i temi fortemente politici sia per il metodo improntato a un confronto che potremmo definire di “brainstorming facilitato” che ha potuto beneficiare di un’ampia raccolta di contenuti e di punti di vista.
Valentina Cappelletti. Il percorso che ha illustrato Fabio è sorto anche per rispondere al rischio di deterioramento della qualità del dibattito interno e quindi dei processi democratici. Per deterioramento non intendo necessariamente la gerarchizzazione, ma anche l’uniformità di pensiero che per un’organizzazione democratica è un rischio.
Ma veniamo ai contenuti. Gli ultimi Stati generali della Cgil Lombardia si sono conclusi attorno alle parole “Incontrare, ascoltare, contrattare”. Già dopo l’ultimo congresso, la segreteria nazionale aveva proposto un documento aperto, intitolato “il lavoro si fa strada”, in cui si cercava di orientare l’azione di rappresentanza individuale e collettiva attorno all’inclusività. Per noi contrattazione inclusiva significa non solo allargare quantitativamente la numerosità dei soggetti che nel mercato del lavoro vengono coperti dall’azione sindacale, ma anche moltiplicare e differenziare le condizioni di lavoro di cui la contrattazione collettiva riesce a farsi carico. Sia verso il cosiddetto lavoro povero, sia verso quel lavoro che è tradizionalmente campo della contrattazione individuale. Anche attraverso le categorie, quindi intersettoriale.
Dietro questo ripensamento c’era un obiettivo organizzativo e di cultura interna: come rendere più efficiente l’azione contrattuale in un momento nel quale la platea delle persone coperte dall’azione collettiva tende “naturalmente” a restringersi? Le camere del lavoro si erano cimentate su questo documento con modalità diverse rispetto al passato, sempre con l’obiettivo di coinvolgere le persone che tendenzialmente lo sono meno cioè delegati e delegate dei luoghi di lavoro, oppure le categorie più fragili rispetto alle categorie più forti. Nel frattempo il gruppo dirigente aveva intrapreso un proprio percorso formativo sui temi della partecipazione.
Daniele Gazzoli. Uscire da una routine, da una consuetudine non è stato facile, ma era necessario e i risultati si sono visti. Per la prima volta agli Stati generali sono intervenuti i delegati, le persone che lavorano nelle fabbriche, negli ospedali, nelle Rsa, nei negozi, nei call center, ecc., oltre a chi opera nelle segreterie dei territori piuttosto che nelle categorie regionali, ma anche chi lavora nei Caf, negli Inca, che fanno la vertenza sui singoli problemi; una platea di trecento persone, che hanno portato punti di vista e vissuti quotidiani completamente diversi. Perché chi fa lo sportello al patronato, chi ti compila il 730, ha un certo tipo di visione, il delegato ne ha un’altra, il dirigente un’altra ancora...
A quel punto la domanda è diventata: come riuscire a far ...[continua]
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