Cristian Bertolin, ecologista, guida e accompagnatore turistico, è fondatore di Barbasso Nature Culture.

Di cosa ti occupi?
Sono nato sul fiume, e posso dire di esserci cresciuto. Così, in una prosecuzione naturale, sono diventato una guida fluviale. Vivo in acqua e lavoro nell’acqua. Oggi però il mio mestiere è molto difficile proprio per la condizione generale in cui versa il patrimonio fluviale, che viene chiamato “bene comune”, mentre sarebbe più appropriata la definizione di “beneficio comune”. Se fosse un bene comune andrebbe custodito con più rispetto per il suo valore assoluto, mentre noi in realtà ne traiamo un beneficio lasciando che la risorsa vada sempre più depauperata. Quello che noi vediamo e che conosciamo, i paesaggi, gli habitat, sono il frutto del lavoro dell’acqua, in qualsiasi forma essa si presenti, come pioggia, umidità, scorrimento.
La mia azienda si chiama “Barbasso Nature culture”. Barbasso è il nome del luogo dove abbiamo la sede. C’è una piccola cava che sin dall’epoca romana viene scavata per ricavare materiali di costruzione e che oggi è ritornata a essere un luogo del fiume. Si trova a monte di una palude, ed è l’unica area all’interno del Parco naturale regionale del fiume Sile che gode del riconoscimento dello status di riserva naturale integrale. Le riserve naturali integrali sono fondamentali; quelle fluviali forse in assoluto sono le più delicate e anche quelle con la maggiore rendita in termini di servizi ecosistemici.
“Barbasso Nature culture”: come tenete insieme cultura e natura?
Siamo un gruppo misto di lavoratori del settore ambientale, faunisti, forestali, addetti all’analisi della qualità dell’acqua, dell’ambiente acquatico, ma prima di tutto siamo attivisti impegnati nel sociale con azioni di mediazione culturale. Noi pensiamo che serva un grande percorso culturale, che non è mai stato fatto su questi temi: molto spesso si affronta la tematica dell’acqua, forse una delle più complesse in assoluto rispetto al tema dell’ambiente, con slogan molto semplici. Mi viene in mente un esempio: abbiamo la fortuna ogni tanto di andare a fare qualche lezione frontale presso la facoltà di Economia e commercio di Venezia e il momento interessante in questi incontri è quando chiediamo ai ragazzi la definizione di fiume. Non si riesce mai ad andare oltre il concetto che è un corso d’acqua con un inizio e una fine, il che è una grande bugia. Il fiume è una delle manifestazioni del ciclo dell’acqua, deputato alla sua dinamizzazione e proprio per questo andrebbe conservato nella sua naturalezza. Ma questi sono concetti lontanissimi dalla disponibilità culturale della società. Quindi le nostre attività, spesso scambiate per sport, sono in realtà delle occasioni per portare le persone, con il gioco e il divertimento, per esempio con gite in canoa o con la pratica del rafting, nel mondo dell’acqua, nei suoi diversi ambienti. Poi da lì si comincia a parlare, a riconsiderare, a distribuire conoscenza sul concetto che l’acqua nella forma in cui la viviamo, è un passaggio. Quindi la sua disponibilità non è garantita. Ecco, noi vorremmo che le persone iniziassero a sensibilizzarsi su questa cosa del bene comune. Mi ricordo che da ragazzino, negli anni Settanta, gli ecologisti venivano a scuola a spiegarci i sistemi ecologici, i primi metodi di lettura dei sistemi ecologici; poi, all’improvviso, non ho più visto nessuno e siamo rimasti a parlare solo di ambiente. Ma ambiente è una parola che può essere declinata su qualsiasi cosa, non è ecologia, non è natura, è un termine su cui ha gravato il concetto di paesaggio. Il paesaggio però è quanto di più effimero ci sia, inizia e finisce nella nostra visione, poi potrebbe mutare in qualsiasi momento. Un buon paesaggio deve essere produttore di ecologia, deve essere funzionale ai servizi eco-sistemici. Ci sono un sacco di paesaggi di cui innamorarsi e che sono definiti come meraviglie, ma in realtà sono mere opere artificiali dell’uomo, con biodiversità devastanti, sia del mondo vegetale che animale.
Ho avuto la fortuna di nascere in un paese di 2.600 persone che oggi ne conta 13.000, quindi il mio è un paesaggio che, rispetto a quello dove sono cresciuto, è profondamente cambiato. Quando ero piccolo la mia casa era una delle ultime del paese, quando mi affacciavo dalla finestra della camera dei miei genitori, una verso Ovest e una verso Nord, riuscivo a vedere tutta la catena alpina. Io chiedevo se su quelle montagne vivesse qua ...[continua]

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