Vorrei che ci raccontassi come nasce il tuo/vostro interesse per queste forme di coabitazione non familiari che nascono quando la famiglia non c’è, non c’è più, o non è più in grado di assumersi adeguatamente il compito di assistere le persone anziane. Mi fai un po’ sapere la storia delle vostre iniziative, non soltanto a Genova, ma a Roma e in altre realtà in Italia?
A Genova la Comunità di Sant’Egidio inizia il suo cammino a metà degli anni Settanta, precisamente nel 1976 in seguito a un incontro desiderato, ma anche un poco casuale. A Roma la Comunità fondata da Andrea Riccardi otto anni prima si muoveva nel panorama ecclesiale romano e aveva già acquisito una notevole esperienza nelle periferie della capitale incontrando giovani e adulti che vivevano una realtà di emarginazione e povertà. Quel primo incontro ha dato origine a una amicizia profonda che si è trasformata rapidamente in una presenza della Comunità nella città di Genova. Nonostante in quegli anni la Comunità fosse una realtà sostanzialmente giovanile, grazie a una intuizione profetica del fondatore, iniziò a scoprire il continente della vecchiaia e incontrare fatiche e sofferenze assolutamente sconosciute, allora inimmaginabili. Questa esperienza di incontro con gli anziani si diffuse rapidamente anche nelle altre città dove la Comunità era presente: Napoli e Genova. Le problematiche della vita degli anziani, allora poco emergenti, apparvero un’evidenza, un problema da assumersi, intuendo, già allora, quanto sarebbero divenute insorgenti. Al tempo, lo sappiamo, si poneva innanzitutto la questione giovanile. Questo era ritenuto il problema. Ma da Trastevere e poi nella periferia romana e nelle altre città, la Comunità ha incontrato il mondo della vecchiaia che sarebbe diventato il protagonista della rivoluzione demografica dei decenni successivi. Oggi, a distanza di molti anni, Papa Francesco direbbe che abbiamo scoperto, a quel tempo, che gli anziani sono uno scarto della società… questo purtroppo era la realtà.
Genova, già allora, rispetto al resto dell’Italia, contava un’alta percentuale di anziani tra gli abitanti. Iniziammo a conoscere gli anziani che vivevano in periferia, ex operai o artigiani affaticati da una vita di lavoro duro con pensioni insufficienti. Consideriamo che al tempo chiamavamo “anziani” anche coloro che avevano da poco superato i sessant’anni, persone che oggi sono attive nella società e hanno un posto ben definito. Si andava a casa degli anziani e la visita era sempre un’occasione non solo di incontro, di familiarità, ma anche un modo per capire i bisogni, le difficoltà. Nel centro storico la realtà era un po’ diversa, più composita: un mondo di persone che viveva ai margini della realtà, non tanto ex operai come accadeva in periferia, ma gente che viveva in abitazioni precarie, in solitudine, con scarsi mezzi.
L’incontro con queste persone ci ha posto il problema di come aiutare chi era così povero che non poteva farcela, anziani che non potevano più vivere in case fatiscenti: come trovare soluzioni e anche soluzioni abitative per gente che sarebbe finita per strada? La ricerca di soluzioni abitative, posso dire, è iniziata da qui e continua tutt’oggi. Al tempo pensammo di aiutare, ad esempio, alcune anziane a vivere insieme. Una risposta alla solitudine e alla povertà. Un capitolo a parte rappresenta l’incontro con i grandi ricoveri gremiti di anziani. Era un destino segnato per tantissime persone: vecchiaia, povertà, malattia portavano, e ancora portano, a concludere la propria vita in quelle che oggi chiamiamo Rsa.
Queste grandi strutture accoglievano una quantità enorme di persone, di ogni età, anche madri con figli, basti pensare ad esempio all’albergo dei Poveri (che poi il nome vero è Istituto Emanuele Brignole), la cui ragione di nascita, nel 1600, era di essere un ricovero per persone povere, e nel tempo, poco a poco, è diventato esclusivamente un istituto per anziani. Questo incontro ha completato il quadro: anziani poveri a casa che venivano inghiottiti da questo mondo istituzionalizzato e sparivano nel nulla, dimenticati.
Quindi vi siete confrontati con una realtà di istituzionalizzazione del fine vita in completa solitudine. Perché ritenevate questa soluzione inaccettabile?
Abbiamo iniziato a fare un lavoro molto intenso all’interno di questi istituti: io e altri della mia generazione, abbiamo trascors ...[continua]
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