Dejan Radojevic, 25 anni, vive a Belgrado, dove studia veterinaria all’università. Sempre a Belgrado lavora a B 92, la radio indipendente serba.

Puoi parlare un po’ di radio B 92?
Se vogliamo partire dal nome, 92,5 è la nostra frequenza, di quando abbiamo cominciato a lavorare, e B sta per Belgrado, ovviamente. La radio è nata nel 1989 per volontà di un gruppo di ragazzi che voleva una nuova radio, soprattutto rivolta ai giovani. In quel momento infatti esistevano solo tre o quattro stazioni radio, quelle di Stato e una che trasmetteva quasi esclusivamente informazioni sul traffico.
B 92 è diventata molto popolare nel 1991, quando abbiamo avuto la prima seria manifestazione di opposizione al regime, perché quando la polizia picchiò i dimostranti, la radio stava registrando quella manifestazione nelle strade e per questo le fu intimato di smettere. Pochi giorni dopo però -io ero ancora uno studente allora- visto che la dimostrazione continuava, sono stati costretti a lasciar lavorare la nostra radio e a lasciar proseguire alcune manifestazioni. Nel mondo quello era il periodo in cui c’erano le prime avvisaglie di un imminente conflitto in Croazia e Bosnia. La guerra sarebbe cominciata pochi mesi dopo.
Nel riportare quanto stava accadendo sul campo in Croazia e Bosnia, i reporter di B 92 venivano accusati di tradire la nostra nazione, il nostro Stato. Comunque, nessuno poteva fermare il nostro lavoro, e poi non eravamo così pericolosi per il governo, perché la gente poteva ascoltare i nostri programmi solo a Belgrado, e neanche in tutte le zone di Belgrado.
Fin dall’inizio, comunque, il rapporto con il regime è stato conflittuale...
Direi di sì. La seconda volta in cui il regime ha cominciato a vietare radio B 92 è stato nel 1996 in concomitanza con le elezioni municipali, quando ci fu una grande dimostrazione che, cominciata da un giorno all’altro, proseguì per tre mesi. In quell’occasione erano scesi in strada tutti quelli che volevano un cambiamento: giovani, vecchi. E’ stato incredibile, veramente bellissimo! A Belgrado infatti non c’erano solo studenti, ma soprattutto semplici cittadini, centinaia di migliaia di cittadini. Insomma, c’erano in realtà due proteste in quel momento, con due cortei formalmente separati: quello degli studenti e quello dei cittadini, che però marciavano nelle strade contemporaneamente. Ed è durata tre mesi, tutti i giorni.
E’ stato bello anche perché gli studenti ascoltavano e cantavano musica pop e rock, mentre i cittadini cantavano una canzone che prendeva in giro il nostro presidente e sua moglie. In effetti, ce n’erano parecchie di queste canzoni e molta gente usava cantarle durante le manifestazioni.
Durante le sanzioni Belgrado non era una bella città, non era un bel posto dove vivere: a volte non c’era da mangiare nei negozi, dovevi andare nei mercati, e soprattutto non c’erano autobus pubblici, e questo in una città estesa come Belgrado, che conta due milioni di abitanti, è veramente un grave disagio! Ma quando cominciarono le manifestazioni, due anni dopo che il cibo era tornato nei nostri negozi e c’erano anche i mezzi pubblici, abbiamo scoperto, proprio in quei giorni, che a noi piaceva la nostra città. Soprattutto abbiamo visto che un milione di persone voleva la stessa cosa.
Tornando ai rapporti col regime, devo dire che durante quei tre mesi di manifestazioni c’è stato un week-end in cui quasi nessuno a Belgrado riuscì a sentire la nostra voce, perché il governo con una particolare tecnica era riuscito ad abbassare l’intensità dei nostri segnali al minimo. La popolazione però si ribellò, e fu divertente perché molta gente andava in giro con l’antenna del tetto, cercando di captare il nostro segnale.

Noi facemmo anche delle riprese, così adesso abbiamo delle immagini di quel periodo dove, per esempio, si vede una signora anziana molto grassa che sale sul muro per captare B 92!
Dopo sette giorni, addirittura ci inviarono dei fax che dicevano che stavamo lavorando illegalmente e che non potevamo continuare. Insomma stavano ufficialmente vietando il nostro lavoro. In quel momento, però, a Belgrado c’erano centinaia di giornalisti stranieri a riprendere le manifestazioni e tutti vennero alla nostra radio, c’erano migliaia di telecamere, gente che parlava con noi ed eravamo su tutti i programmi via satellite del mondo...
Così hanno dovuto lasciarci continuare: loro precisarono che comunque non ci avevano boicottato, che in realtà quanto accadu ...[continua]

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