La seconda metà del secolo ha continuato a restare sotto l’ipoteca delle lezioni tratte dalla seconda guerra mondiale.
Nel ’45 il problema che si pone è che non devono più succedere guerre. C’è una volontà di rendere tabù la guerra. Rafforzata non solo dall’atrocità smisurata di quel conflitto, ma dal fatto che si attribuisce lo scatenamento della guerra da parte di Hitler al fallimento del tentativo, messo in atto dopo la carneficina della prima guerra mondiale, di istituire una legislazione internazionale, con la Società delle nazioni e altre istituzioni, capace di prevenire la guerra.
Dunque, nel 1945 si mette in piedi un tribunale internazionale, anzi più tribunali e un inizio di legislazione internazionale che si propone come compito fondamentale l’attuazione in pratica dell’auspicio "mai più guerra".
Questo intento assolutamente comprensibile e condivisibile contiene al suo interno una piccola contraddizione, che alla lunga si ingrandirà fino a inghiottire il problema: finita la guerra la parola d’ordine "mai più Auschwitz" risulta del tutto marginale.
Esemplare, a questo proposito, è il processo di Norimberga.
L’impianto giuridico del processo poggia su due pilastri, dei quali, però, solo uno è quello portante, mentre l’altro è del tutto secondario. Innanzitutto, si tratta di processare persone ritenute personalmente responsabili della preparazione e dello scatenamento della guerra aggressiva. Una parte dell’accusa sosterrà con forza l’imputazione della cospirazione per provocare la guerra (altri metteranno in dubbio la validità giuridica di questa tesi del complotto).
L’altra motivazione, rimasta secondaria, era la persecuzione dei delitti contro l’umanità. Questa, se per un verso sembrava semplicemente riprendere la vecchia legislazione internazionale riguardante le atrocità di guerra, i cosiddetti "crimini di guerra", per un altro rifletteva la sensazione di trovarsi di fronte a cose nuove: intanto la portata gigantesca, su una scala tale che ne tramutava la qualità, dei massacri compiuti durante la seconda guerra mondiale; e poi, ovviamente, i campi di concentramento e di sterminio.
Tuttavia, l’idea che ci dovesse essere una nuova capacità del diritto internazionale di misurarsi con tali crimini che potesse spingersi oltre la tradizionale sovranità degli stati (idea per altro in discussione da molto tempo perché già la Società delle nazioni implicava dei limiti alla sovranità nazionale), resterà marginale nell’impianto, nella conduzione e nella conclusione dei processi.
Alla fine, a Norimberga, Auschwitz entra, ma all’interno di un’incolpazione sulla guerra, sui crimini di guerra. Non entra con una sua specificità.
D’altra parte, è così ovunque: prima che Auschwitz riesca a imporsi come questione centrale passerà molto tempo. Finita la guerra, è della guerra che si parla e gli scampati e i sopravvissuti dei campi vengono spostati da un angolo all’altro dell’Europa senza che si sappia cosa farne. Displaced persons. Quando Primo Levi torna, si accorge che non riesce a raccontare Auschwitz perché la gente ne ha abbastanza dei propri ricordi, e poi vuole voltare pagina.
In realtà, solo a cinquant’anni di distanza Auschwitz comincia ad assumere la parte che le spetta nella storia di questo secolo: quando qualcuno protesta che è passato troppo tempo ed è ora di metterci una pietra sopra.
Il processo che si svolge in Giappone contro i generali di Hirohito è ancora più significativo per certi versi...
A Tokyo si svolge un processo equivalente a quello di Norimberga. Il Giappone dal ’31, anno dell’invasione della Manciuria, al ’45, è stato protagonista di un’espansione imperiale sull’intera Asia, nella quale si è reso colpevole di ogni sorta di crimini: torture ai prigionieri, stupri, tratta di donne, atrocità razziste, persino schiaviste. Ma anche il Giappone viene processato innanzitutto come un paese che ha mirato alla guerra di aggressione, e anche qui appare l’aggravante della cospirazione. Le atrocità vengono processate, ma in subordine, e all’interno del capitolo tradizionale delle atrocità di guerra. Il processo di Tokyo, però, rispetto a quello di Norimberga, presenta anche delle differenze. La prima è che il Giappone non ha avuto un’ideologia antisemita o razzista che lo portasse a programmare e attuare il genocidio di un popolo. La seconda differenza è che il Giappone viene occupato non ...[continua]
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