Nel Primo Uomo, il romanzo rimasto incompiuto (il cui manoscritto Camus aveva con sé al momento dell’incidente mortale) l’Algeria, fino a quel momento assente o quasi nei suoi romanzi, diventa protagonista assoluta...
In effetti, per parlare di Camus e dell’Algeria dobbiamo cominciare dalla fine, da Il Primo Uomo, che esprime al contempo la sua speranza e la sua disperazione per la guerra in corso in Algeria. Tema del libro è la vita dei petits blancs, i francesi poveri d’Algeria, che nessun intellettuale, a differenza di Camus, conosceva realmente o prendeva in considerazione.
Lui era uno di loro, essendo nato in una famiglia povera: la madre, vedova di guerra, arrotondava la magra pensione facendo la domestica. Quando scrive che in casa il burro e lo zucchero si compravano a etti, questa povertà mi pare del tutto evidente. Quindi, sapeva chi erano i petits blancs. In un editoriale dell’Express, scritto per spiegare i petits blancs d’Algeria ai petits blancs, ai grands blancs, ai moyens blancs di Francia, sostenne: "I francesi d’Algeria non sono tutti ricchi, col sigaro in bocca, sempre a bordo di una Cadillac".
Una scena del libro mi pare molto eloquente perché evidenzia il punto di vista di Camus sugli eventi d’Algeria. A un certo punto, il protagonista, cioè Camus stesso, va a trovare un vecchio colono, che gli dice: "Lei sa com’è in Algeria: un giorno ci si sbrana e il giorno dopo ci si riconcilia". Mentre scrive Il Primo Uomo a Lourmarin, in Provenza, Camus ritiene che tutto sia ormai finito, che sua madre sarà costretta a rientrare in Francia perché sarà l’opzione indipendentista a prevalere. Non sarà quindi possibile quell’unione tra l’Algeria e la Francia all’interno di un organismo più vasto che lui, utopisticamente, auspicava.
Cosa avrebbe voluto Camus? Che si trovasse un modus vivendi che permettesse ai pieds-noirs di restare in Algeria. Sognava un sistema egualitario, fraterno, che si sarebbe forse potuto realizzare prima della guerra. Probabilmente, la sua era una chimera, ma, a pensarci bene, è la stessa cosa che tutti noi oggi auspichiamo per il Sudafrica: la nascita di uno stato multirazziale e multietnico, in cui persone di origine europea e africana possano vivere gli uni accanto agli altri.
Comunque, la storia dei rapporti fra Camus e l’Algeria è più complicata. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che fu iscritto al partito comunista algerino dal ’35 al ’37, e ne venne espulso per anticolonialismo. Seguendo gli ordini di Parigi, che obbediva a Mosca, il partito algerino aveva messo la sordina alla lotta anticoloniale, che invece Camus rilanciava dalle colonne di Alger Républicain e di Soir Républicain, i due giornali in cui esordì come reporter. Camus aveva preso coscienza della disuguaglianza prodotta dal sistema coloniale. In un reportage dalla Cabilia, molto bello, scriveva che i berberi vivevano in condizioni di semi-schiavitù. Questa è una cosa molto importante. Si dimentica che aveva difeso i militanti nazionalisti algerini, fra cui alcuni sceicchi un po’ corrotti. Si dimentica che aveva appoggiato il progetto Blum-Viollette nel ’36, con cui il governo del Fronte popolare voleva estendere i diritti politici all’élite musulmana. Si dimentica tutto il passato di Camus militante anticolonialista prima della guerra -per cui fin dal ’54 viene bollato come anticomunista, per via del saggio L’uomo in rivolta, ma anche come colonialista- e si passa alla frase da lui pronunciata a Stoccolma in occasione della consegna del premio Nobel, quando, durante un incontro con i giovani, venne aggredito verbalmente da uno studente algerino. Innervosito, si lasciò sfuggire una frase molto infelice: "Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre" che fece scorrere fiumi di veleno. La frase era inopportuna, lui era arrabbiato, non si rendeva conto fino a qual punto sarebbero giunte le reazioni in Francia.
Le Monde la trasformò in una notizia mondiale. Commise un errore, certo. Richiesto, rifiutò di spiegarsi, rinviando ogni chiarimento alla prefazione alle sue Chroniques Algériennes che, però, uscirono proprio quando De Gaulle tornò al potere, passando così del tutto inosservate. Nessuno dei suoi libri fu così poco letto come Actuelles III. Nel ’54 ...[continua]
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