Voi siete impegnati in un tentativo di riqualificazione del lavoro di farmacista. Quali sono i problemi principali che incontra oggi il vostro lavoro?
Paolo. Io faccio il farmacista ormai da parecchi anni e devo dire che ho sempre considerato questa professione un po’ stravagante, proprio perché, come poche altre, intreccia fortemente la componente economica con quella culturale, nel senso che noi dobbiamo far quadrare i bilanci, produrre ricchezza e nello stesso tempo fare educazione sanitaria. Voglio chiarire subito che attualmente la farmacia non è in crisi dal punto di vista economico, anche se ha passato un periodo con una caduta di redditività enorme. Per esempio, nel giro di 4-5 anni sono cresciuto di un 30% di fatturato, ma il mio reddito finale alla fine dell’anno è rimasto a malapena costante. Cioè si lavora molto di più e in proporzione si guadagna di meno, quindi i nostri margini si stanno assottigliando e stiamo diventando un canale di distribuzione con margini analoghi a tutti gli altri.
Del resto, io non voglio tagliare sul personale, perché se ho più personale in farmacia posso spendere più tempo per l’aggiornamento, soprattutto per parlare con calma con le persone.
Comunque, come dicevo, la vera crisi riguarda il versante culturale, perché i farmacisti non sanno, non hanno ben chiaro in testa qual è il loro ruolo nella società. Oggi per me la domanda cruciale allora è: “Serve la farmacia?”. Ecco, a mio avviso, serve, ma solo se è fatta in un certo modo.
Il patto originario tra lo Stato e la farmacia prevede una serie di garanzie: una pianta organica, cioè una distribuzione fissata sul territorio con bacino di utenza minimo, prezzi fissati per legge, margini di guadagno anch’essi fissati per legge, monopolio del farmaco; insomma, tutta una serie di privilegi in cambio dei quali noi offriamo un servizio diffuso sul territorio, con orari determinati, turni di 24 ore su 24, assistenza, e soprattutto un comportamento professionale. Cioè noi siamo in una condizione tale, per cui possiamo tranquillamente permetterci di non vendere un prodotto se non riteniamo che sia corretto per l’uso.
Questo patto, però, negli anni è andato fortemente in crisi per vari motivi, innanzitutto per colpa dei farmacisti, che hanno abusato dei loro diritti, utilizzando il loro privilegio per svolgere un’attività commerciale senza freni, addirittura facendo leva sulla propria immagine per garantire cose che non andavano garantite e questo non gli viene perdonato. Viceversa, credo che il patto sia ancora valido in un’ottica più moderna e diversa che è quella della libertà.
Oggi, ad avere un’immagine positiva della farmacia restano quelli che hanno avuto l’esperienza individuale del trovarsi di fronte a una sofferenza a cui solo la farmacia ha risposto adeguatamente in termini di servizio, di consiglio, o anche solo di possibilità di chiacchierare con un farmacista, sempre più spesso chiamato a sostituire il medico che sta rinunciando brutalmente a un rapporto personale col paziente.
Dunque è proprio a partire dalla quotidianità professionale che le cose vanno modificate...
Paolo. Si potrebbero raccontare molti episodi in cui noi verifichiamo positivamente il nostro ruolo: la vecchietta in difficoltà con le pratiche, piuttosto che col farmaco, la persona che fa un uso sconsiderato dei farmaci, che solo perché glielo domandi casualmente quel giorno, scopre che sta facendo qualcosa di sbagliato e anche di molto grave. Ieri è venuta in farmacia una vecchietta ancora grata a mio padre che trent’anni fa le aveva negato un antibiotico per il mal di gola, cacciandola dal medico, il quale le aveva subito diagnosticato un tumore alla gola; è stata operata e a distanza di trent’anni è ancora viva. La stessa cosa è capitata a me con uno che prendeva sempre l’antiacido, e ha poi scoperto di avere un tumore allo stomaco. Purtroppo, era troppo tardi.
Ebbene, tutto questo succede proprio perché la farmacia è un presidio sanitario al livello più basso: siamo a contatto col territorio molto di più del medico di base. Recentemente leggevo che dopo il panettiere, il supermercato, siamo il posto più frequentato, come numero di presenze quotidiane.
Maria Teresa. Inoltre noi spesso abbiamo una visione generale della situazione di chi ci consulta, perché vediamo tutta la famiglia, i loro comportamenti...
Paolo. Esa ...[continua]
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