Wlodek Goldkorn è giornalista.

La "soluzione" che si prospetta per la Bosnia sembra smentire ogni ottimismo riguardo alla possibilità della convivenza fra popolazioni diverse...
Immaginiamoci che mezzo secolo fa fosse stato accettato l’ordine nazista in Europa, un ordine che sarebbe stato totalitario, con la pretesa di gestire la vita di vari popoli, etnie, razze. Oggi non siamo a questo livello, ma in Bosnia si è dato ragione a chi sostiene che le varie etnie e religioni non possono convivere. Mentre israeliani e palestinesi si stanno avviando a vivere insieme, mentre storici conflitti fuori dall’Europa si stanno risolvendo -Nelson Mandela chiede il ritiro delle sanzioni contro il Sudafrica- e si procede verso società multirazziali, multietniche, plurireligiose, nel cuore dell’Europa, con il pieno appoggio e grande sollievo dei governi, si sta procedendo verso una soluzione che dà ragione a tutti coloro che sostengono il contrario. E quindi si sta dando ragione all’integralismo islamico. Dopo aver lasciato i musulmani soli e deliberato che non potevano vivere con gli altri, dopo aver lasciato che fossero ammazzati dai fascisti serbi e croati, è evidente che lo Stato bosniaco sarà in mano agli integralisti islamici. Glielo abbiamo consegnato, dopo aver consegnato la Croazia ai fascisti croati, cioè a Tudjiman, e la Serbia ai fascisti serbi, cioè a Milosevic.
Tutto ciò mi sembra diametralmente contrario all’idea che sta alla base dell’Europa, cioè a quella cultura borghese, nel senso di cittadina, dove la città è di per sé luogo di scambio, di promiscuità, di traffici, di apertura, di commerci, di tolleranza. In Europa la città è per eccellenza il luogo dell’incontro, l’esatto opposto dell’integralismo. E’ il luogo dove la gente è costretta a vivere assieme in un piccolo spazio, dove ognuno deve convivere con l’altro, coi suoi rumori, le sue puzze, le sue cattive maniere, dove non ci si può ammazzare e ci si deve tollerare a vicenda. Lo spazio fisico è limitato, una volta addirittura cinto dalle mura, perché il mondo fuori era ostile, mentre dentro il mondo era favorevole e non perché tutti si amassero, ma perché tutti imparavano le regole della convivenza. Era il luogo del commercio mentre fuori c’era il brigantaggio e l’esazione dei pedaggi, che era più o meno simile al brigantaggio, e dove, per comprare, dovevi negoziare la merce, per trattare dovevi mediare e capire cosa stava nel cervello dell’altro, dove era anche molto difficile mantenere il monopolio del commercio; dunque un luogo di libero scambio a patto che la gente stesse nelle regole. In città, a differenza della campagna, la divisione per caste è molto meno accentuata, perché la natura stessa dei contatti umani rende la città promiscua e nella promiscuità è difficile diventare moralisti, perché il quotidiano ti rende propenso ad accettare anche la debolezza degli altri e le cose sgradevoli.
A me, per esempio, può non piacere un vicino di casa che è cacciatore, urla, tiene alto il volume del televisore, si dice che picchi la moglie; io farei molto volentieri a meno di lui e se domani andasse via da questa casa, che per altro io vorrei comprare per allargare la mia, starei benissimo, ma questo non mi autorizza minimamente a sgozzarlo, a violentare sua moglie, a prendermi la casa, anzi, quando lo incontro per le scale lo devo salutare e devo pagare insieme a lui le spese condominiali... Questo è il concetto della città, a differenza del concetto guerresco della campagna: un luogo di incontro dove, per sopravvivere, sei costretto a tollerare l’altro, il che non vuol dire cattolicamente amare l’altro. Se riuscissimo a recuperare questo concetto forse potremmo cominciare ad elaborare la nostra sconfitta sulla Jugoslavia. E dalla riflessione sulla resistenza di Sarajevo, ultimo bastione della convivenza plurietnica e religiosa, potremmo forse cominciare a pensare a come uscirne. Non a caso Bossi si richiama a una simbologia medievale e cavalleresca: Alberto da Giussano è proprio il contrario della città; così come andare a quei raduni grotteschi, travestiti da cavalieri, è il contrario del borghese, del cittadino, dell’uomo tollerante. La simbologia di Bossi è l’antitesi della città, della borghesia, è il mito medievale, che peraltro assomiglia molto ai miti nazisti.
Ma, oltre a Sarajevo, altre città hanno una storia di rapporti interetnici e plurireligiosi...
Altri esempi sono Vilnius e Leopoli. Nella prima vivevano polacchi cattolici, russi orto ...[continua]

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