Yelitza, nella lingua quechua significa “brezza, vento”. Sono nata a Lima. Mia mamma mi racconta che è stato dopo una giornata di danze. Era il 9 di gennaio, il compleanno della mia nonna, e mia mamma, che era molto allegra, aveva ballato come una pazza tutto il giorno, con il suo pancione, animando tutti. …E il giorno successivo, dopo tutta quella ginnastica, sono nata io!
Quando avevo 4 anni mi sono trasferita con mio padre, mia madre e i miei 6 fratelli a Cuzco, in una località vicino a Machu Pichu chiamata Quilla Bamba, che nella lingua quechua significa “la Casa della Luna”. Mio padre, che era ingegnere elettronico, era stato chiamato a costruire l’impianto del primo cinema del paese. Lui aveva accettato, ed aveva lasciato il suo posto a Lima, pensando che fosse una buona occasione. Ma si è rivelata un’esperienza drammatica, perché i suoi datori di lavoro erano i signori assoluti: tutte le attività del posto erano nelle loro mani, e loro la facevano da padroni, abusavano della gente. Mio padre era quasi uno schiavo, aveva un contratto che lo incastrava, senza nessuna autonomia, senza diritti…si sentiva come in prigione.
Sono stati tempi duri, anche economicamente non ce la passavamo bene. Io ero piccola e non capivo, ma vedevo che mia madre soffriva molto, e mio padre continuava a ripetere: “dobbiamo andarcene”. E così una notte… siamo scappati! E’ stata proprio una fuga, anzi “La Grande Fuga”: un’avventura bellissima, per me che ero piccola! Abbiamo approfittato di una festa in paese, e quando tutti dormivano, ubriachi, alcuni ancora con la bottiglia in mano, siamo partiti, quatti quatti, scavalcando i corpi…
Eppure io mi dico, “era destino”, dovevo arrivare lì…
Cuzco per me è stata una sorta di iniziazione. Lì ho sentito le mie radici in modo molto forte, è stato qualcosa che mi ha rimescolato il dna! La terra lì era diversa…io ero piccola, vedevo quelle pietre enormi, ciclopiche. E questa impressione mi ha accompagnato tutta la vita.
Quando ho cominciato a dipingere? Io ho dipinto sempre! Fin da piccola, avevo sempre i pennelli in mano e dipingevo tutto quello che vedevo: gente, piante, animali…tutti gli animali di Cuzco, così tanti e così diversi…
Spesso dipingevo sui muri di casa. I miei me lo permettevano, era mio padre che mi regalava i colori. Naturalmente gli adulti mi indicavano dove potevo dipingere, ma io spesso oltrepassavo i limiti. Mi è sempre piaciuto dipingere cose grandi, e questa passione l’ho conservata. Non posso dipingere in uno spazio ristretto, limitato…
Certo, oggi lavoro in un ambiente piccolo, ma questo non lo sento come un limite. Quando sei concentrata sei nel tuo spazio, non importa dove stai, se sei fuori, se sei dentro…lo spazio si espande, cresce.
Quando ho bisogno di spazio per guardare il quadro, apro la porta, e lo spazio cresce! Uso anche uno specchietto retrovisore, sai, di quelli delle macchine, che ho trovato un giorno per strada. Questo mi permette di avere una visione completa, di avere un controllo sull’opera.
Quindi, con lo specchio e la porta ho risolto il problema dello spazio. Ultimamente ho eliminato anche le cornici. In un posto così piccolo le cornici mi mangiano tutto lo spazio. Allora mi sono detta:”Perché devo usare le cornici? Non è una regola! Io devo fare a modo mio!” Eliminando le cornici ho risolto anche i problemi di trasporto: avvolgo le tele e vado via, leggera! E quando faccio le mostre invento dei sistemi mobili per sostenere le tele.
E’ vero, sono proprio gli impedimenti a sviluppare la creatività. E’ meglio stare stretti che stare larghi! E’ così che nascono le soluzioni creative. L’ho sempre pensato: i popoli che non hanno niente sono molto creativi, ed è perché il bisogno fa scattare la molla, ti spinge a inventare per eliminare il difetto…e il difetto in questo momento, per me, sono le cornici!
Io ho bisogno solo della tela. E dei colori, ovviamente. I colori sono importantissimi, mi piacciono molto. Ora ne ho comprato uno stock per averne una provvista, perché so che possono arrivare tempi più difficili…
Il mio primo maestro è stato mio padre: dipingeva con me, perché anche lui aveva la passione della pittura. Ma aveva anche quella della musica, che era più forte. Faceva il cantautore, componeva musica. A volte mi portava con sé alla “peña”, un circolo dov ...[continua]
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