Paolo Virno collabora a Il Manifesto. Recentemente ha pubblicato Mondanità (Manifesto Libri).

Cosa intendi quando parli di “nuovo fascismo europeo”?
Per nuovo fascismo europeo non intendo tanto una politica conservatrice, autoritaria, reazionaria o repressiva degli stati -né, ovviamente, mi riferisco all’avvento in Italia di una qualche “nuova destra”- quanto qualcosa che affonda radici in sommovimenti profondi nelle mentalità, nelle forme di vita, nei modi d’essere delle nostre società: la diminuzione dell’importanza del lavoro nelle nostre società, la crisi della forma-stato come punto più alto della socialità umana, il gusto e l’amore delle differenze, cioè la possibilità di far valere l’irripetibilità del singolo. Queste tendenze, cui ci si riferisce come la base materiale di processi emancipativi, di possibilità di sviluppo di libertà e di vita felice, per dirla all’antica, possono costituire il liquido amniotico, il terreno di coltura, di un nuovo fascismo. Di un fascismo post-moderno come una sorta di fratello gemello ghignante e orrendo che inquina i tuoi stessi fiumi e dà un’altra forma alle chances di libertà che pure sembrano tangibili, costituendone il lato buio, la possibile catastrofe.
Basta fare l’esempio del fenomeno, irreversibile nei paesi a capitalismo sviluppato, della fuoriuscita dalla società di lavoro, dell’importanza decrescente del lavoro come pura erogazione di fatica psico-fisica nella riproduzione della ricchezza sociale complessiva, di un vero e proprio mutamento del calendario sociale col lavoro a tempo pieno e vita natural durante sotto padrone -questa sorta di ergastolo contemporaneo- che cessa di essere un destino e lascia posto a una zona grigia composta da part-time, orari flessibili, passaggio da un lavoro ad un altro, transito da lavoro a non-lavoro, eccetera.
Tutto questo è successo perché nella produzione della ricchezza, come già aveva presagito Marx, è diventato preponderante il peso del sapere, della scienza, della potenza complessiva dell’intelletto astratto.
Ora, il fascismo post-moderno potrebbe basarsi -si fa un discorso su una possibilità limite- proprio sulla fuoriuscita dalla società del lavoro laddove questo tempo in eccesso, questo tempo di non lavoro, venisse vissuto come tempo di mancanza e penuria e venisse riempito, anziché da istanze egualitarie o da esperimenti collettivi al di fuori della forma-lavoro, da miti e riti extralavorativi, da un sistema di appartenenze simulate e di gerarchie apparentemente regressive, ma del tutto post-moderne e contemporanee, che darebbero vita a un tempo colonizzato nella maniera più barbarica, in cui ritornano criteri di sopraffazione personale, di segmentazione, di contrapposizione sociale a carattere pulviscolare, di appartenenze etniche o razziali.
La stessa dinamica la si può notare nella crisi nella dello stato-nazione?
Infatti. Quel monopolio della decisione politica che prende il nome di “stato” -e che, per dirla con un autore del ‘200, è “sostanza di cose sperate”- ha subito quasi una metastasi cancerosa per cui la sua obsolescenza, il suo carattere residuale, rispetto alle forme possibili di convivenza, si manifesta come moltiplicazione all’infinito di tanti piccoli stati, con la conseguente riproduzione in maniera barbarica di criteri gerarchici e simulacri atroci della sovranità. Mentre negli anni ‘20-’30, in sintonia strutturale, non culturale o politica, con l’esperimento del socialismo reale e con il New Deal americano, il fascismo storico esaltava e militarizzava il lavoro della fabbrica fordista e metteva al primo posto, soprattutto come soggetto economico, il protagonismo dello stato, oggi si potrebbe ipotizzare un fascismo extra-lavorativo ed extra-statale, manifestazione parossistica della crisi della forma-stato.
Va infine notato che se un punto decisivo di ogni trasformazione radicale delle nostre società era stato la possibilità di valorizzare il carattere irripetibile della vita dei singoli, di far valere la differenza e l’unicità presente nell’esistenza di ciascuno, negli ultimi anni il tema delle differenze è andato assumendo un carattere sinistro, orrendo. Un’intera gamma di differenze è andata sviluppandosi, ma si tratta di differenze basate sull’ineguaglianza, sulla sopraffazione, su surrettizi contenuti sostanziali.
Se dovessi tracciare con una formula la differenza fra il fascismo storico e il fascismo che polemicamente chiamo post-moderno -dico polemicamente, per ...[continua]

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