Anna Bravo, storica, è tra le autrici del manuale I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, (A. Bravo, A. Foa, L. Scaraffia), Editori Laterza, 2000. Eugenio Gruppi insegna Storia e Filosofia al liceo D’Azeglio di Torino.

Partiamo dalla difficoltà a parlare dell’ultimo Novecento a scuola. E’ possibile senza rischiare di “fare politica” o di “essere ideologici”?
Eugenio Gruppi. Non c’è dubbio che tra gli insegnanti questo ha provocato varie perplessità e resistenze, sia perché -si dice- la storia antica e medievale non viene più fatta bene, perché in due anni devono far tutto, sia perché è difficile fare storia su vicende così vicine senza essere troppo condizionati ideologicamente.
Quindi può essere interessante sapere se voi, facendo questo manuale, avete avvertito difficoltà di questo tipo. Se, per esempio, avete avuto dei problemi ad affrontare alcuni temi del ‘900, particolarmente controversi, tipo il totalitarismo sovietico, oppure se, per quanto riguarda l’Italia, si possa arrivare perfino agli ultimissimi anni, al travagliato passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Ho notato che nell’ultimo capitolo voi, secondo me molto giustamente, fate un tentativo di aprire degli scenari, di indicare delle prospettive più che non, appunto, pronunciarvi direttamente sull’attualità.
Anna Bravo. Intanto la questione degli ultimi anni: a me sembra insensato che si pretenda di fare storia sui fatti dell’altro ieri, per di più in poco spazio e con pochi libri seri da mettere a disposizione degli studenti; i manuali dovrebbero finire agli anni ‘80, però lì non c’è possibilità di trattativa, sono i programmi ufficiali e chi fa un manuale deve comunque introdurre anche quei periodi.
Quello che abbiamo cercato di fare è proprio quello che dice Eugenio: dare più spazio sia agli scenari sia ai fenomeni che si presume abbiano più respiro, che si riallacciano all’indietro e promettono di andare avanti, tipo i movimenti nati con Seattle (senza idealizzarli, ma intanto continuano), oppure l’immigrazione, i problemi demografici, le religiosità varie che si stanno espandendo, a cui abbiamo dedicato un capitolo intero.
Riguardo alla difficoltà che si crea per i secoli passati, sono d’accordo: è molto discutibile la scelta di restringere l’800 a dei nodi problematici o di sacrificare tanto Medioevo e tanta Età Moderna, perché, per esempio, alcuni grandi cambiamenti che riguardano le donne vengono da lì, sono di fine ‘700-inizio ‘800, e allora si rischia di non capire più nulla.
Sullo spazio da dare al totalitarismo sovietico: noi abbiamo dedicato molte pagine non solo alla teoria, ma alla costruzione dell’apparato repressivo, allo sterminio dei kulaki, al Gulag, alla tragedia dell’industrializzazione forzata; non so se siamo riuscite a avere un approccio non ideologico, ci abbiamo provato usando fonti garantite per la loro serietà. Posso dire che abbiamo rifiutato una valutazione dei crimini del comunismo “attraverso l’intenzione”, cioè, per dirla brutalmente: il nazismo aveva intenzioni criminali fin dall’inizio, il comunismo aveva originariamente intenzioni buone, poi è degenerato. Ho paura di questo criterio di valutazione, non perché le intenzioni non fossero diverse, ma perché questo non mi sembra sufficiente per guardare con occhio diverso le due esperienze, con più “comprensione” per il comunismo. So che possiamo essere accusate di mania comparativistica, a me però sembra che sia mania quella opposta, che scomunica la comparazione, una vera fobia. Se vuoi fare storia devi per forza comparare, che vuol dire cercare sia le somiglianze sia le differenze, devi cercare le connessioni; solo dopo si può dire se la comparazione è utile o fuorviante.
L’impressione che si ha sfogliando i manuali è che prevalga l’idea che non poteva andare diversamente, che la sequenza degli eventi è ineluttabile...
Anna Bravo. Una delle nostre preoccupazioni principali è stata far capire che le cose non dovevano andare per forza come sono andate. C’è ancora in giro un senso comune determinista che produce effetti mortiferi. I manuali fino ad alcuni anni fa titolavano: “Le cause della prima guerra mondiale”, non le origini, sempre le cause: in questo modo le responsabilità collettive, istituzionali, personali, scompaiono, tutto sarebbe parte di un ingranaggio, l’individuo sarebbe agito dall’ambiente, dalla società; tutte le azioni umane si spiegherebbero in termini di meccanismi sovrapersonali, che tolgono completame ...[continua]

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