Roberto Biorcio, docente di sociologia a Milano, ha pubblicato, tra l’altro, La Padania promessa, Il Saggiatore 1997.

Molti commentatori, rispetto ai risultati elettorali della Lega, hanno parlato di una “sbornia” finita, quasi un rientro nei ranghi, in particolare del nordest...
Sì, molti hanno letto i risultati elettorali come la fine di una fase di transizione complessa, dilaniata, tumultuosa. E quindi, da un punto di vista istituzionale, ma anche politico forse, si starebbe andando verso una fase di nuova stabilizzazione. Io credo, però, che una lettura attenta ci farebbe capire che ci sono problemi ancora aperti e che quindi sia improprio parlare di un ritorno alla normalità: in questo periodo sono cambiate molte cose e non si torna al vecchio sistema politico.
Tra l’altro, secondo altri commentatori, la Lega ha vinto comunque in quanto i suoi temi sono stati poi assunti nel quadro politico, in particolare negli ultimi due anni; la Lega non rappresenta più l’unico e il più autentico rappresentante delle battaglie da essa promosse. Dato che indubbiamente le è stato tolto terreno su cui edificare un consenso specifico. In questo senso, visto che una fase, un ciclo, certamente è finito, e ne è nato uno nuovo, bisognerebbe riflettere più attentamente su cosa davvero è avvenuto, che cosa ha voluto dire, appunto, questa apparente sbornia, che elementi aveva, quali problemi e quali temi nuovi sono stati oggi in parte recuperati da altri attori, casomai cambiati di valenza.
Lei segue dall’inizio il fenomeno Lega; vogliamo allora ripercorrere le ragioni di fondo del successo della Lega?
Ricordo che, appunto, quando il fenomeno emerse, scrivemmo, ormai sono 10 anni, nel ’91, un libro sulla Lega lombarda; era la prima vera analisi. Ma già allora qualcuno leggeva l’intera storia come una sbornia e basta; qualcun altro unicamente come un’ondata regionalista; mentre a nostro avviso la Lega riassorbiva, sotto la bandiera regionalista, diversi altri temi che non avevano rappresentanza o erano talmente nuovi che le forze politiche tradizionali non riuscivano neanche a visualizzarli.
Quindi che cosa c’era? Beh, intanto la bandiera del regionalismo, la richiesta dell’autonomia; all’epoca esistevano ancora leghe regionali, stava appena nascendo la Lega nord e tutto sommato, l’obiettivo, l’orizzonte, sembrava quello di chiedere semplicemente maggiore autonomia, uno statuto speciale, qualcosa che tra l’altro oggi si potrebbe forse realizzare; ci sono già state delle proposte istituzionali, per cui se le cose andranno come previsto dagli accordi tra la Lega e il Polo potrebbero nascere dei cambiamenti. Questo per dire che il programma da loro proposto, oggi, con traversie di varia natura, successi, sconfitte elettorali, alleanze cambiate varie volte, in qualche modo alla fine sembra realizzato e quindi in realtà sembrerebbe un percorso abbastanza lineare. C’era una domanda di autonomia nel nord. Adesso, dopo 10 anni, si ottiene qualcosa che tutto sommato gli assomiglia.
E si badi bene che questo è quasi incredibile, perché appunto già in quel libro, analizzando anche gli anni ’80, ciò che risultava evidente era che la domanda di autonomia regionale era debolissima. Ed era assolutamente secondaria rispetto ad altri tipi di domanda, di esigenze, anche rispetto alla questione dell’identità. Erano ancora più forti le appartenenze politiche, tradizionali, in particolare quelle religiose piuttosto che di ceto. Quindi l’elemento che ha messo in moto l’intero processo, in Lombardia prima, diffondendosi nell’intera regione poi, non è stata l’autonomia.
Vediamo allora quali sono stati i veri fattori catalizzanti...
Dietro la bandiera regionalista, come prima operazione, la Lega ha inserito il tema della protesta contro i partiti.
Questo tema poteva assumere molte altre forme e ne aveva già assunte con il movimento di Pannella, che però tutto sommato rimanevano minoritarie, marginali, in parte elitarie; toccavano in modo transitorio una certa fascia elettorale.
In questo caso invece il poter legare la protesta contro i partiti a una qualche forma di identità, di riconoscimento, è stato il primo vero capolavoro bossiano. Dietro la battaglia autonomista c’era infatti il federalismo che poi si era ritualizzato in chiave indipendentista, ma il primo obiettivo era di dare corpo, identità, a un movimento che non era né di classe né di religione, né legato alla pura scelta culturale-ideologica, ma di forte critica ...[continua]

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