Raina Junakovic ha oggi 87 anni. La sua indomita vitalità la spinge ancora, dopo 27 anni di estenuanti ma vittoriose battaglie contro le oscure potenze degli “armatori ombra”, a intraprendere un nuovo viaggio in India, ove è già stata per collaborare a una comunità in difesa delle donne. Sarebbe utile, per capire la sua tenacia nella vicenda che qui viene narrata, conoscere il suo passato, dall’infanzia un poco ribelle in una benestante e altolocata famiglia in Bulgaria, al suo soggiorno in Italia ove si laurea in lettere, ai giorni di clandestinità del periodo di guerra dopo il settembre 1943, alla sua strenua lotta durata dieci anni per uscire dalla Jugoslavia ove aveva seguito nel 1946, con i due piccoli figli, il marito dalmata tornato in patria. Vi traspare già la forza d’animo e la singolare intelligenza che si manifestano in lei nei momenti in cui deve affrontare difficili situazioni.
L’intervista si limita però alla battaglia intrapresa per la difesa dei diritti degli uomini a bordo di navi battenti bandiera ombra, che inizia quando il 17 febbraio 1974 la “Seagull”, nave mercantile, di 6507 tonnellate di stazza lorda, con carico di 8800 tonnellate di fosfati, -vecchia “carretta del mare”, costruita nel 1947 e allungata nel 1961, viaggiante sotto “bandiera ombra” liberiana-, scompare nelle acque internazionali al largo della Sicilia, portando con sé 30 persone dell’equipaggio, composto da un francese (il comandante), due italiani, due spagnoli, un turco, 19 africani, giovani provenienti da Nigeria, Camerun, Ghana, Gambia. Per otto giorni nessuno indaga sulla sua sorte ed unica a preoccuparsi della ricerca della nave è lei, moglie dell’ufficiale marconista di bordo Frane Junakovic, che incontra negli armatori un muro di silenzio. Da allora Raina si è dedicata prima alla scoperta della verità sul naufragio e alla individuazione dei colpevoli, e poi, con il “Comitato Seagull”, da lei creato, alla difesa della sicurezza dei marittimi attraverso una legislazione che tutelasse l’equipaggio di ogni tipo di nave.
Nel 1975 l’82% del traffico marittimo italiano era di navi straniere di cui il 55% con bandiera regolare, il 27% con bandiera ombra: di queste con bandiera ombra, una minoranza erano “navi carretta” responsabili degli incidenti più gravi e dell’alta percentuale dei naufragi, mentre una parte erano navi moderne, con copertura di comodo per sfuggire al fisco.


Raccontami la vicenda del naufragio della “Seagull”...
Nel naufragio della “Seagull” sono morte trenta persone, cioè tutto l’equipaggio e una giovane donna, molto bella, la moglie del comandante. La trentunesima vittima dovevo essere io.
Non ero più sulla nave perché sono scesa a Crotone. Già a Casablanca avevo cercato di tornare a Roma con l’aereo, ma quando sono andata a fare il biglietto ho trovato l’agenzia chiusa perché era un giorno festivo e così sono tornata sulla nave. Mi sentivo inquieta, avevo brutti presentimenti, mi ero fissata che mio figlio stesse male e avesse bisogno di me. Il viaggio è stato difficile per il maltempo. Un colpo di mare ci ha portato via la scala reale, tant’é che all’arrivo in porto l’armatore ha rimproverato il comandante: “E dov’é la scala reale?”. Ho sentito il comandante rispondere: “Si accontenti che manca solo quella, perché col tempo che abbiamo avuto poteva perdere la nave!”.
Allora non ho capito tutto il senso di quella frase: il comandante sapeva in che stato era la nave, sapeva che era sempre in pericolo di naufragio a causa dell’età e della mancanza di manutenzione. Avevo cercato di convincere mio marito a tornare a casa con me, ma ha preferito restare per completare l’anzianità di lavoro: gli mancava poco; io gli avevo cercato un’occupazione a terra presso un negozio.
Sulla nave vedevo strani segni di pericolo che però allora non decifravo. Soprattutto i topi. Si erano fatti quasi spavaldi. La sera della partenza da Casablanca, mentre eravamo seduti a tavola, un grosso topo si era piazzato in mezzo al corridoio, sotto la luce della lampada, stava lì e ci guardava. Poi più tardi, in cabina ce n’era un altro, sul filo della lampada, e mi fissava intensamente con i suoi occhietti scuri.
I topi avevano abbandonato le sentine perché erano allagate, ma io allora questo non l’avevo capito. Ora penso che non avevo intuito un’altra cosa -tu a questo non ci crederai-: che non volevano abbandonarci. Infatti quando la nave è in porto si vedono i topi uscire in fila indiana, ma i nostri topi ...[continua]

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