All’inizio di quest’anno, ho letto di un fiato “I 40 giorni del Mussa Dagh” di Franz Werfel, un romanzo che non conoscevo: il carcere è sempre stato tempo e luogo adeguato per un recupero di conoscenze libresche. Nel romanzo di Werfel c’è l’epopea degli armeni dei sette villaggi del massiccio del Mussa Dagh, che rifiutano la deportazione alla volta di Deïr es Zor, nel deserto mesopotamico, e i cui superstiti furono salvati da una squadra navale francese. C’è la vicenda personale di Gabriele Bagradiàn, condottiero di questa epopea, eroe borghese al servizio del suo popolo, da cui è cresciuto lontano, a Parigi; un uomo che cerca il suo vero se stesso, perché un “uomo non sa chi è, prima di essere stato messo alla prova”; un personaggio che esprime l’etica del coraggio, così lontana dal mondo in cui oggi viviamo.
Quel che mi ha sorpreso nel romanzo di Werfel è la sua attualità, sembra scritto in questi anni, e non nel lontano 1933.
Il genocidio degli armeni descritto da Werfel sembra alludere a quello della shoah, di cui invece ne fu una lucida profezia. E forse quel genocidio fu studiato dai carnefici nazisti prima di procedere alla “soluzione finale del problema ebraico”.
Come scrive Yves Ternon, Hitler sapeva quanto era accaduto agli armeni: ai suoi generali che si accingevano a invadere la Polonia e a massacrare i polacchi avrebbe detto: “Andate in Polonia, distruggete i polacchi, perché noi prenderemo il loro posto... Chi si ricorda più del massacro degli armeni?”.
Nel romanzo di Werfel c’è anche l’esortazione all’azione umanitaria. Il pastore Giovanni Lepsius, impegnato a favore degli armeni, era un leader di quello che oggi chiamiamo “volontariato”. Vibrante è la sua denuncia: “...una persecuzione di cristiani, di tali dimensioni, che non si può neppure lontanamente paragonare con le famose persecuzioni sotto Nerone e Diocleziano... Non si tratta qui affatto... di una questione di politica interna della Turchia. Neppure l’esterminio di una piccola tribù negra di pigmei è una questione di politica interna fra sterminatori e sterminati”.
Avevo appena terminato la lettura del romanzo di Werfel, anche con quel piacere speciale che è l’amore per le cose del passato, e solo pochi giorni dopo trovavo sui giornali che l’Assemblea Nazionale francese aveva approvato un testo lapidario, di una sola riga che asseriva: “La Francia riconosce il genocidio armeno del 1915”. Questo riconoscimento, dopo tanti anni, deve far pensare; non tanto al contesto che lo ha reso possibile, ma al suo valore morale e di giustizia. In altre parole non è mai troppo tardi per condannare i crimini contro l’umanità, perseguirne i colpevoli, resarcirne le vittime e i loro eredi.
Ritorno al Novecento, secolo lungo dei genocidi, lungo abbastanza da allacciarsi in modo coerente con il più grande tributo di vite che l’umanità abbia dato nella storia moderna: quello della “Tratta degli Schiavi”.
La tratta degli schiavi non sembra appartenere alla storia del XX secolo. Eppure il commercio degli schiavi neri è continuato fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale in dimensioni ancora notevoli. Non è un caso che nel 1890 papa Leone XIII scrivesse: “La schiavitù ripugna alla religione e alla dignità umana. Siamo stati dolorosamente colpiti dalla narrazione delle miserie che affliggono l’intera popolazione di alcune parti dell’Africa interna. E’ orribile e doloroso constatare, come abbiamo avuto modo di apprendere da veraci relatori, che quattrocentomila africani senza distinzione di età o di sesso vengono violentemente strappati ogni anno dai loro villaggi, e poi le mani in catene e sotto i colpi di frusta dei loro sorveglianti, esposti e venduti come greggi all’incanto”.
Parimenti, mi sembra degno di nota il fatto che uno dei primi gesti di François Mitterand, appena eletto presidente della repubblica, nel giugno 1981 -solo qualche anno fa-, fu di portare dei fiori sulla tomba, al Panthéon di Parigi, di Victor Schoelcher, che da sottosegretario di stato alle colonie francesi, era stato un firmatario del decreto di emancipazione degli schiavi delle colonie francesi, a metà del XIX secolo.
La tratta inizia intorno al IX secolo, ed è solo araba; si parla di circa 4 milioni di schiavi deportati attraverso i ...[continua]
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