Cari amici,
negli ultimi giorni molti dicono che presto nevicherà a Hong Kong -anche se, trattandosi di una località subtropicale, negli ultimi secoli ha visto la neve appena due volte, e non certo in modo massiccio.
È vero che fa un po’ freddino, non lo nego: non abbiamo il riscaldamento nelle case, e quando il termometro scende a sei-sette gradi, o anche un paio di linee più giù, bisogna mettersi tutto quello che si ha addosso, e i momenti di gioia sono quelli passati sotto il getto della doccia con l’acqua calda al massimo. Ma la questione della neve e del freddo polare che si sente a Hong Kong in questo periodo, non riguarda solo quello che ci dice ad ogni ora l’Osservatorio Meteorologico.
L’attesa terrorizzata e del tutto irreale di una nevicata rappresenta, secondo me, il gelo profondo che Hong Kong sente su di sé in questo momento.
Di sicuro avrete sentito parlare del caso inquietante legato alla scomparsa di cinque librai di Hong Kong; lavoravano per la casa editrice Corrente Poderosa, che pubblica per lo più testi scandalistici sulla vita dei dirigenti politici cinesi: scandali a sfondo economico o sessuale, corruzione legata a scambi di favori, intrighi bizantini, e via dicendo, che hanno più a che vedere con la fantasia di chi legge e scrive che con fatti realmente accaduti. Ma non di meno si tratta di atti sovversivi: se è vero che le dittature, per reggere, devono essere capaci di funzionare come dei romanzi, ovvero saper raccontare storie fantastiche ma credibili, sbugiardare l’aura di saggezza necessaria alle figure dittatoriali per restare al potere può essere un grave affronto. Finora, lo statuto speciale di Hong Kong ha protetto la libertà di espressione nella ex-Colonia, e questi testi non erano considerati criminali, ma venduti apertamente, anche se erano l’equivalente politico dei nostri giornalini di gossip più bieco. Ora invece che un libraio è stato rapito in Thailandia (e ricomparso alla televisione cinese, in una delle ormai tristemente frequenti "confessioni forzate” che sanno tanto di Rivoluzione Culturale), un altro a Hong Kong e altri tre mentre erano in visita in Cina, il gelo che si sparge intorno a me è ben più severo di quello legato a un’improbabile nevicata. Ho amici editori che pensano che l’unica cosa utile da fare sia andarsene.
Studenti che avevano partecipato al Movimento degli ombrelli per chiedere maggiore democrazia, oggi sono talmente agghiacciati dalla repressione che si è scatenata su Hong Kong dopo le loro proteste che pensano solo a come fare ad andare all’estero, in un modo o nell’altro. La maggior parte non ha alternative; altri ancora si dicono che per ora rimangono, questa è la loro città, ma è necessario un "piano B” se le cose si mettessero peggio. Per alcuni, il "piano B” potrebbe essere Taiwan: vicina a Hong Kong, ha appena tenuto delle elezioni presidenziali in piena libertà nel corso delle quali ha vinto la candidata più scettica nei confronti di Pechino, Tsai Ing-wen -la prima donna asiatica ad arrivare al potere senza far parte di una dinastia politica fondata dagli uomini della sua famiglia. Ma se è vero che ormai Pechino non fa più attenzione a Hong Kong nella speranza che il successo del suo ritorno a sovranità cinese seduca Taipei, è anche vero che Pechino non ha affatto smesso di avere mire su Taiwan.
I più depressi, dunque, dicono: "A cosa serve andare a Taiwan? Sarà la prossima a cadere nelle grinfie di Pechino. Non c’è alternativa al disastro”. Per di più sono tempi di rallentamento economico -alcuni dicono crisi- in Cina, per cui nemmeno chi era pronto ad ingoiare di tutto per la prospettiva che se non altro gli affari sarebbero andati bene non è più così sereno. E poi i librai erano commercianti -politici, ma commercianti- e questo spaventa. "Non abbiamo più il lusso di non aver paura”, mi ha detto Law Yukkai, un amico di lunga data che lavora per Hong Kong Human Rights Monitor. "Quello appartiene proprio al passato”. E poi, misteriosamente, come fa sempre quando dice qualcosa di molto serio ed inquietante, è scoppiato a ridere.  
Ilaria Maria Sala