Ristretti Orizzonti ha cambiato la mia vita da ergastolano con il progetto scuola carcere. Sono felice di questo progetto che ha rivoluzionato il pensiero non solo dei detenuti, ma anche il modo di gestire la vita detentiva nel concreto. Gli studenti universitari che entrano per un confronto con i detenuti che raccontano il proprio errore o scelte di vita sbagliate.
È spettacolare, le domande degli studenti mi fanno pensare, capire, riflettere e passo poi notti insonni per capire bene gli sguardi di queste giovani vite che un po’ sono attratti dalla curiosità di sapere come passiamo le nostre giornate, cosa ci ha portati qui dentro. Ci mettiamo a confronto perché crediamo nel nostro reinserimento, perché vogliamo cambiare il nostro destino ricominciando da zero, buttando via quel vecchio bagaglio culturale. Ci si racconta storie, si ascoltano storie… Si è parlato ad esempio di come la droga possa dilagare nella vita di un giovane, portandolo in un tunnel dal quale non si esce, mentre si pensa poi di smettere quando si vuole. Non è così, ci si rimane dentro se non si hanno gli aiuti giusti. Non se ne esce con le parole. Ci siamo confrontati anche sul problema dell’alcol, altro tema che affonda nella vita che tocca le famiglie perché i giovani non sono ascoltati. Si è parlato del problema di chi esce dal carcere dopo aver trascorso venticinque anni dietro le sbarre e trova un mondo irriconoscibile e si sente confuso, smarrito dal mondo esterno. Si è parlato della famiglia che trova ancora ad attenderlo, i figli diventati grandi, come delle emozioni che si provano.
Per me tutto questo è vita, sapendo che si può cambiare e si deve cambiare rigenerandosi. La società deve entrare in carcere, si deve porre delle domande su questo mondo separato dalla vita comune. Io, per esempio,  non avrei mai pensato di diventare uno studente, perché non credevo alle istituzioni, e invece oggi sono felice che in questo carcere la mia vita detentiva sia migliorata di gran lunga andando a scuola, studiando, mollando quelle assurde visioni che avevo. In tre anni che sono in questo istituto mi sono ripreso la vita che non avevo mai avuto prima, perché sono migliorato, perché mi hanno dato il modo di mettermi in gioco, e questo ha prodotto un’evoluzione anche di intelletto, modificando giorno per giorno il mio comportamento e la mia capacità di apprendimento. Sono uscito dalla gabbia distruttiva che mi ero creato con le mie stesse mani.
Il progetto scuola-carcere dovrebbe essere esteso a tutti gli istituti di pena. La società deve conoscere la differenza fra una detenzione costruttiva come quella che facciano noi, e una carcerazione regressiva che non produce nulla di buono, ma distrugge senza aver recuperato e operato là dove si deve intervenire non con la forza di privazioni ma con coraggio e osare, mettendo il detenuto davanti alla possibilità di fare scelte.
Pochi giorni fa sono entrati alcuni genitori degli studenti perché volevano capire come mai in questo carcere entrano oltre settemila studenti l’anno. È stato un successo: alla fine ci hanno fatto i complimenti perché hanno capito che il nostro cammino è sincero e fatto con fatica. Io sono orgoglioso non solo di fare parte della redazione di Ristretti Orizzonti, ma anche di sentirmi utile in questo progetto che mi regala emozioni e sentimenti nuovi. Devo molto agli studenti che ci mettono a dura prova con le loro domande. Il mio ringraziamento lo devo anche ai tanti genitori che mandano i loro figli con le scuole, perché solo così si può costruire un cambiamento nella generazione futura.
Nella redazione ospitiamo anche degli studenti che vogliono fare lo stage anno dopo anno, ascoltano le nostre riunioni intorno al tavolo della redazione dove discutiamo come affrontare il tema del giorno trovando le parole giuste da usare per far capire bene il problema del momento che possa interessare la vita civile, comune, o detentiva. Questo e molto altro è il progetto scuola-carcere. E sono temi delicati quelli che affrontiamo, il nostro è anche un lavoro socio-culturale e spesso pubblichiamo anche alcune lettere degli studenti nella nostra rivista bimestrale. Insomma, un lavoro fatto bene, come accade quando si crede in quello che si fa. E tutto questo, ci tengo  a dirlo, lo devo al direttore della rivista Ornella Favero. Le devo tanto, perché sta cambiando il mio futuro.
 
Carcere di Padova