"Una città” nasce nel marzo 1991 a Forlì grazie all’incontro fra due gruppi di amici, già impegnati politicamente in anni giovanili nell’estrema sinistra, gli uni in Lotta Continua, gli altri nel movimento anarchico. A tutti, pur senza alcun rimpianto per la militanza di un tempo né, almeno nel caso dei primi, per l’ideologia che l’aveva sostenuto, era tornato il desiderio di far qualcosa. Di certo eravamo accomunati innanzitutto dalla curiosità "per quel che succede”, e dal desiderio di discuterne con altri, senza pregiudizio alcuno.
Nessuno di noi ambiva a fare il giornalista, né sicuramente ne sarebbe stato capace, e non eravamo degli intellettuali. Siccome può sembrare piaggeria, questa cosa va argomentata: chi è del Cinquanta come lo sono diversi di noi e si è messo a fare militanza a tempo pieno a diciotto anni, ha smesso di studiare quando doveva iniziare a farlo seriamente, quindi gli mancano proprio i fondamentali. Il tutto aggravato da quasi un decennio di "pensiero unico”. Finita quell’esperienza in tanti ci siamo ritrovati del tutto "ignoranti” e spaesati. Da questo punto di vista aver avuto un passpartout come l’intervista per andare a parlare con la gente è stata veramente una "seconda possibilità”. Un’aggiunta: a tornare un po’ intelligenti ha contribuito certamente proprio l’incontro con gli amici anarchici. Quando se ne parla, si scherza sul fatto che loro avevano vissuto "nel due”, gli altri "nell’uno”, e la differenza si vedeva. Quindi un po’ per necessità (l’incapacità a fare saggi o reportage), un po’ per una buona intuizione (l’idea che in un tempo di dubbi e domande più che di certezze, l’intervista fosse un genere che "si prestava”) la rivista nasce come "mensile di interviste” e foto.
Le interviste sono molto lunghe. I temi (sociali, culturali, politici, ambientali) e gli intervistati (esperti ma soprattutto operatori sociali e persone comuni) molto vari. Si può trovare, ad esempio, l’intervista al giovane napoletano che grazie ai maestri di strada si laurea in filosofia, e, subito dopo, quella alla storica che ci racconta del "fallimento” di san Francesco e dell’ipotesi che potesse essersi ammalato curando i lebbrosi; si può leggere della situazione del distretto della scarpa di lusso di San Mauro Pascoli e, voltata pagina, del giovane di An di Sondrio che fa heavy metal, rugby, il consigliere comunale ed è pure un bravo ragazzo. Le interviste fatte sono ormai più di 2.700, tutte accessibili sul sito di "Una città”. Incerti all’inizio se riciclare le cassette o conservarle, quasi per caso scegliemmo di conservarle, così oggi il patrimonio audio, già tutto digitalizzato col contributo della Regione, è considerevole. Teniamo presente che noi abbiamo sempre registrato molto più del necessario, le sbobinature possono essere, in termini di battute, pure il doppio o il triplo del massimo previsto per la pubblicazione.
La linea del mensile, quindi, è innanzitutto un impegno a farsi e a fare domande. La rivista è certamente di sinistra e militante, ma ogni volta che qualcuno ci ha chiesto: "Militante di che?”, la risposta è sempre stata: "Boh”. All’inizio si diceva "la linea della non-linea”; Andrea Ranieri, un altro amico per noi prezioso, coniò la definizione "militanza della domanda”. In realtà quel che conta è la comunanza di alcuni ideali: il libertarismo, il cooperativismo, il pluralismo, la giustizia sociale, l’internazionalismo; e, ben si intende, l’ideale, e lo spirito, democratico. Di qui il particolare interesse per tutte le "buone pratiche di cittadinanza”, in cui si concretizza la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, alla discussione e alle decisioni; "Una città”, nel suo piccolo, ha cercato di raccontare un’Italia che senza clamore, e spesso senza aspettare o rivendicare l’intervento dello Stato, affronta i problemi e tenta di risolverli con spirito cooperativo. Di qui, anche, l’interesse per quella tradizione liberalsocialista, libertaria e cooperativistica, pluralista, federalista e non statalista, della sinistra italiana ed europea, del tutto dimenticata e rimossa. Se è vero che senza una qualche carta d’identità è difficile vivere, forse la sinistra la sua non può che ritrovarla in quella tradizione.
Riguardo all’impegno internazionale "Una città” è andata a fare interviste in alcune delle situazioni drammatiche che in questi anni ci hanno visto spettatori quasi sempre impotenti: la Bosnia, l’Algeria, il Kosovo, Israele e
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