È passato poco più di un anno da quando il presidente Donald Trump ha parlato all’assemblea generale dell’Onu per la prima volta. Il suo più recente discorso del 25 settembre 2018 è stato diverso dal primo solo per la spavalderia. I delegati erano sotto shock nel 2017, questa volta hanno riso quando il Presidente ha millantato il fatto che la sua amministrazione abbia ottenuto migliori risultati rispetto a qualsiasi altra nella storia americana. Si è preso il merito per il solido mercato azionario trumpiano ma non ha nemmeno accennato all’obiettivo di quasi un miliardo di dollari da spendere per la difesa, né a un debito pubblico che minaccia di superare persino queste cifre. La scuola e il welfare sono sotto attacco, i servizi sociali sottoposti a tagli, le infrastrutture sono in disfacimento, i diritti al voto sono in pericolo negli stati "rossi”, e il "livello di cultura materiale” (Marx) è in caduta libera persino mentre Trump richiede l’appoggio per l’esercizio del potere esecutivo nascondendosi dietro il patriottismo. Tutto questo sta alla base del tema dominante del più recente discorso del presidente, ovvero la sovranità.
"America first!” sembra essere la pietra angolare. L’imbarbarimento persino dei più basilari concetti politici è di nuovo di scena, con ben poche critiche da parte degli opinionisti. La sovranità era stato anche il tema del discorso di Trump nel 2017 alle Nazioni Unite. Ma questa volta è stato usato per giustificare la miscela unica di politiche contro-illuministe e contro-rivoluzionarie. La sovranità è diventata la giustificazione per l’uso da parte del presidente di un doppio standard e per una politica estera al limite del bullismo, basata su un protezionismo bellicoso. La Cina viene  attaccata perché reagisce all’imposizione americana di dazi doganali che possono ammontare a 200 miliardi di dollari, applicando 30-40 miliardi di dollari di dazi. Persino l’Europa viene minacciata di rappresaglie economiche, se i suoi membri dovessero decidere di continuare a commerciare con l’Iran una volta che diventeranno effettive le prossime sanzioni americane. Nel frattempo, mentre le democrazie sono sotto attacco, il presente sembra sorridere agli (amichevoli) regimi autoritari, dalla Russia all’Arabia Saudita alla Corea del Nord. 
La sovranità prevede una stabilità internazionale e, contrariamente all’errata convinzione popolare, un certa reciprocità cosmopolita. Ma la stabilità e la reciprocità sono esattamente quello che l’arbitraria politica trumpiana dell’"America First!” minacciano di demolire. La politica di Trump è caratterizzata dal rifiuto delle norme internazionali all’estero e dal caos auto-generato in patria. O, per metterla in un altro modo, gli Stati Uniti si caratterizzano per un atteggiamento eticamente sprezzante in materia di politica estera e per quel tipo di polarizzazione interna che paralizza ogni nozione significativa di interesse nazionale. I capricci personali del presidente Trump e gli interessi determinati arbitrariamente sono al centro della scena. Le reazioni emotive sull’onda del momento si sostituiscono alle decisioni ragionate. Le critiche ispirano timore e ulteriore chiusura. I sentimenti xenofobi continueranno a crescere, mentre gli Stati Uniti vengono rimproverati per il ritiro dagli impegni transnazionali e dagli obblighi reciproci per questioni che vanno dalla Nato alla corte Internazionale, dal cambiamento climatico ai fondi per le Nazioni Unite e le sue agenzie. Suggerire che questo sia solamente un proseguimento della politica estera di Obama è fuorviante. L’amministrazione Trump privilegia l’azione unilaterale su quella multilaterale, la coercizione sulla diplomazia, la determinazione arbitraria dell’interesse nazionale americano sulla cooperazione internazionale, e una cruda e tradizionale "politica di potenza” sui diritti umani. 
Il concetto di sovranità è emerso dal crogiolo delle guerre intestine e di religione che hanno sconvolto l’Europa dal XIV fino al XV secolo. Stanchi del bagno di sangue che era costato al continente quasi un terzo della sua popolazione, sospesi tra gli assolutismi intolleranti dello scontro tra chiese cristiane, i principati che avevano preso parte alla barbarie trovarono un accordo con il Trattato di Westfalia. Era stato pensato per fornire un minimo di stabilità in contrasto con le aspirazioni egemoniche degli stati attraverso una decentralizzazione del potere internazionale, e facilitando le alleanze ...[continua]

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