28 marzo 2008. Tortura
L’acqua sì, il fuoco e il ferro no. Il confine della civiltà occidentale passa di lì.

29 marzo 2008. 36 ore a Sderot
Pubblichiamo brani del blog di Laura Bialis, regista americana, a Sderot, Israele.
Sono triste ed arrabbiata. E’ stata proprio una settimana difficile da queste parti. Mercoledì, gli attacchi coi qassam sono aumentati. Diversi razzi sono caduti sul Sapir College, che si trova ad un paio di minuti da qui, e uno studente è rimasto ucciso. Molti altri sono caduti ad Ashkelon -uno su un ospedale. Gli attacchi sono continuati giovedì, provocando anche più vittime. Il Primo Ministro, intento a mangiare il suo sushi in Giappone, ha dichiarato che Hamas “sta mettendo a dura prova la sua pazienza”.
Venerdì, 3 di notte. Non è ancora scattato lo Tzeva Adom (allarme rosso), ce n’è però un altro, più strano ancora -quel tipo di allarme che in genere si attiva quando ci sono diversi Tzeva Adom consecutivi. Il frastuono è tale che ci sveglia tutti, solo che poi non sappiamo che fare: corriamo al rifugio? Forse sarebbe un errore.
Venerdì, 10 di mattina. Mi dico che siamo fortunati a non aver ancora sentito uno Tzeva Adom, stamane. Meno di mezz’ora dopo ci stiamo preparando a lasciare la casa: Tzeva Adom. Corriamo al rifugio. Questa volta, sentiamo il sibilo. Avi me lo dice sempre: la cosa più spaventosa che si possa sentire è il sibilo, perché significa che il razzo ti sta cadendo vicino. Dopo il sibilo, un’enorme esplosione scuote la casa. Alla fine capiamo che è caduto dall’altra parte della strada. Per fortuna lì non ci sono abitazioni.
Venerdì, ore 16.30. Poco dopo lo Shabbat, il fra­tello di Avi e la sua famiglia ci passano a trovare. Le sue due nipotine gemelle di otto anni rincorrono il nostro gattino nel giardino sul retro. All’improvviso, un’altra enorme esplosione. Un qassam non annunciato dall’allarme -la cosa più spaventosa immaginabile. Poi si ricomincia: Tzeva Adom. Corriamo al rifugio. Altre esplosioni. Vicine.
Venerdì, ore 20. Cena Shabbat a casa dei genitori di Avi. Avi è molto depresso ed arrabbiato. In genere non si riduce così, ma forse vedere le sue nipotine direttamente esposte al pericolo lo ha intristito. Non ha più appetito.
Venerdì, 22.30. Stiamo tornando a casa in macchina. La radio è sintonizzata su 104fm, di solito dopo le nove di sera c’è solo silenzio; ora però sta trasmettendo lo Tzeva Adom -circa un paio di secondi dopo, si sente anche dagli altoparlanti per strada. Fermiamo la macchina e ci incamminiamo sul marciapiedi fino alla casa più vicina. Bussiamo alla porta, ma non c’è nessuno. Ci appiattiamo contro il muro della casa, per stare sicuri. Per la prima volta, ho paura, e sento il battito del mio cuore nel petto. Credo sia a causa della sensazione di voler scappare da qualche parte, senza poterlo fare.
Sabato, 2 di notte: Tzeva Adom. Molto strano - di solito non suona a quest’ora. Corriamo al rifugio, non sentiamo alcuna esplosione. Magari perché è troppo lontana. Torno a letto, provo a dormire. Sento gli elicotteri.
Sabato, 5 di mattina: Tzeva Adom.
Sabato, tra le 5 e le 7 di mattina: uno o due Tzeva Adom, non ricordo. Non mi alzo, non mi sveglio, resto a letto, ‘fanculo tutti! Se vogliono bombardarmi, che si accomodino.
Sabato, 7.30. Tzeva Adom. Ci alziamo e corriamo al rifugio. Sono così stanca che non riesco nemmeno a stare in piedi. Poi torno a letto. Sento colpi d’arma da fuoco, davvero forti… una mitragliatrice.
Sabato, 9.30. Tzeva Adom. Va bene, forse è ora di alzarsi. Sento gli aeroplani, molto forti. Devono essere gli F-16.
Sabato, ore 12. mi collego a internet. Non riesco a farne meno. Vedo le ultime notizie. Tra ieri ed oggi, trentatré qassam. Ventisei persone uccise a Gaza, inclusi alcuni civili. Diversi soldati israeliani feriti.
Guardo la stampa occidentale e mi arrabbio molto. Più che altro, a causa delle menzogne. Un altro articolo che parla delle proteste palestinesi ai nostri attacchi. Tutto ciò è ridicolo. Se non c’avessero tirato i razzi, l’Idf (esercito israeliano) se ne sarebbe stato fermo. Non mi piace per niente il modo in cui ci dipingono. Noi non la vogliamo questa guerra, ci siamo stati trascinati dentro. Ogni giorno ci piovono in testa i razzi. Eppure, per i media, siamo noi gli aggressori. Una volta pensavo che Israele dovesse preoccuparsi di come appariva al mondo occidentale, che non saremmo dovuti apparire come mostri. Ora ho capito che non conta nulla. Continueranno a dipingerci come vogliono. E’ solo che non ce la faccio più a leggere queste notizie, mi arrabbio troppo. Il nostro governo ha la responsabilità di proteggerci. La domanda è: qual è il modo migliore per farlo?
Sabato, ore 14. Tzeva Adom. Sono sola a casa, corro al rifugio.
Sabato, ore 15. Tzeva Adom. Resto alla mia scri­vania. E’ tutto talmente ridicolo.
Sabato, ore 19. al telegiornale due soldati israeliani uccisi, e 45 palestinesi.
Mentre scrivo, altri elicotteri. Altri spari. Molto depressa.
(pajamasmedia.com/2008/03/a_weekend_in_sderot.php)

2 aprile 2008. La nuova costituzione birmana
A Yangon, in Birmania, stanno circolando alcune copie clandestine della bozza della nuova costituzione, da cui risulta che l’esercito si sarebbe già messo al sicuro rispetto all’esito delle prossime elezioni. Un quarto dei seggi parlamentari saranno riservati alle forze armate. In base a quanto rivela il documento, Aung San Suu Kyi, avendo sposato un britannico, ed essendo i suoi figli di nazionalità britannica principale, non avrà alcuna chance di concorrere per la carica presidenziale, ma potrebbe avere difficoltà persino ad entrare in parlamento. Anche ai candidati con precedenti penali verrà impedita la candidatura. Questo provvedimento colpisce in primo luogo i dissidenti e la maggior parte dei fautori della democrazia, che hanno scontato anni di carcere per le loro attività politiche. La Birmania non ha una costituzione dal 1988, anno in cui l’attuale giunta militare prese il potere. La giunta militare progetta di sottoporre la costituzione a referendum a maggio, così da anticipare le elezioni previste per il 2010.
Il Ministro dell’Informazione Kyaw Hsan, la scorsa settimana, ha definito la carta “meglio che niente”, aggiungendo che la costituzione potrà comunque essere emendata nel corso del tempo. In realtà il contenuto della bozza fa supporre che gli emendamenti saranno quasi impossibili. Per approvarli, infatti, è richiesta una maggioranza qualificata del 75%: ciò significa che, per ogni modifica, ai politici sarà indispensabile l’appoggio di elementi dell’esercito.
(www.burmanet.org)

3 aprile 2008. Checkpoint privati?
Israele privatizza i checkpoint nel West Bank e i palestinesi si mettono a fare chilometri per poter passare per i checkpoint ancora sotto controllo dei soldati israeliani. Così nel sito di Haaretz, quotidiano israeliano, viene sintetizzata la paradossale situazione che si sta venendo a creare in alcune aree del West Bank. Questa settimana intanto altri cinque checkpoint hanno abbandonato il vecchio filo spinato per abbracciare il nuovo sistema di controllo che pare assomigliare più a un terminal aeroportuale. La sicurezza sta passando dal Ministero della Difesa ad alcune ditte private.
Secondo il governo la scelta è orientata a una maggiore efficienza e al risparmio, ma il fatto che i palestinesi sentano la mancanza dell’esercito dà da pensare.
Haaretz si era già occupato dell’outsourcing dei checkpoint lo scorso ottobre in un articolo in cui raccontava l’evoluzione del checkpoint Reihan, a soli cinque chilometri dalla Linea Verde, vicino a Jenin.
Da qualche mese il checkpoint è stato “civilizzato” e privatizzato. La ditta di sicurezza privata che ha avuto l’appalto si chiama “Shin-Bet” (acronimo per Shmira Uvitahon, Controllo e Sicurezza). In sostanza resta un soldato all’entrata, ma all’interno le guardie sono dei civili senza uniforme. Da un veloce sondaggio condotto sui palestinesi in attesa al tornello metallico è risultato che, senza alcuna eccezione, uomini e donne, giovani e vecchi, rimpiangono i soldati.
E tuttavia pare che i palestinesi se ne debbano fare una ragione. E’ questo il futuro.
Al Ministero della Pubblica Sicurezza spiegano che non si tratta solo di avere un sistema più efficiente, ma anche di migliorare “la qualità del servizio ai cittadini palestinesi”, per citare Rosenbaum, il direttore generale. Ci sarebbe un altro fattore, di cui si parla meno, la sostituzione di un soldato con un contractor non solo fa risparmiare soldi, ma di fatto assolve il governo da qualsiasi responsabilità.
I palestinesi, che in un primo tempo si erano illusi che la privatizzazione potesse rappresentare un miglioramento, oggi sono a dir poco demoralizzati: le attese sono diventate più lunghe (mentre prima i soldati fermavano una persona ogni tanto, i dipendenti di queste ditte private trattengono il 90% delle persone), addirittura il personale è più freddo e indifferente nell’approccio. Per non parlare delle umiliazioni.
Le accuse più pesanti riguardano la cosiddetta “Stanza 3”, dove in base ad alcune testimonianze, alcuni palestinesi sarebbero stati costretti a denudarsi completamente. Il personale Shin-Bet finora ha smentito.
Ma il trattamento delle donne comincia a essere un punto critico. Machsom Watch ha già denunciato il caso di due donne portate nella “Stanza 3” che rifiutatesi di spogliarsi, si sono viste negare il permesso di oltrepassare il checkpoint.
(www.haaretz.com)

7 aprile 2008. Petrolio
Bei tempi quando Bin Laden incitava i suoi a lottare per far arrivare a 100 dollari il prezzo del petrolio e mettere così in ginocchio l’Occidente.

8 aprile 2008. Nonni contro badanti.
Nelle ultime settimane è uscita la notizia che alla Cgil di Bologna è in atto un inedito scontro tra nonni e badanti. Aumentano infatti le assistenti familiari che, informate dei propri diritti, tramite il sindacato, minacciano di fare causa al loro datore di lavoro per mancato versamento di contributi, conteggio delle ore approssimativo, Tfr non versato, ecc. Peccato che il loro datore di lavoro sia in genere un pensionato che mediamente può permettersi la badante solo se “bara” un po’ sulle ore e sui contributi. Insomma un’ennesima guerra tra poveri, con l’aggravante che alla sede Cgil di Bologna a scatenare il putiferio è stato il fatto che molti dei pensionati hanno la tessera Spi-Cgil e non ci stanno proprio a passare per padroni sfruttatori. Anzi si sentono traditi: perché il sindacato crede alla loro assistente familiare e non a loro? Tanto più che alle badanti, in assenza di “pezze”, viene riconosciuto il 50% di quanto richiesto.
In base al nuovo contratto nazionale, la paga di un’assistente familiare residente è di 850 euro per tredici mensilità, a cui vanno aggiunti i contributi, per una somma complessiva che può superare i quindicimila euro all’anno. Le mensilità, tra l’altro, non sono tredici, ma quattordici perché quando la signora moldava, ucraina, rumena, ecc. ad agosto finalmente prende un mese di ferie (pagate) per poter tornare a casa dai suoi cari, l’azienda-famiglia non chiude come le fabbriche per cui quel mese dovrà trovare una sostituta, ovviamente pagandola. Che poi uno si chiede: ma c’era anche bisogno di rendere obbligatoria una vera e propria busta paga con tanto di Cud, che comportano ulteriori spese dato che ci si deve affidare a degli studi o a delle associazioni specializzate?
Qualcuno aveva proposto che l’invito a regolarizzare venisse accompagnato da un qualche incentivo, per esempio dal fatto che i contributi venissero pagati dallo Stato, ma non se n’è fatto nulla.
Ancora non se ne parla (forse perché continuano a occuparsene prevalentemente le donne), ma ci sono sempre più segnali sul fatto che il sistema così non regge. Senza contare il fatto che nemmeno l’assunzione formale nel rispetto di tutti i crismi è risolutiva perché già all’ultima regolarizzazione era emerso come, una volta messe in regola, le assistenti familiari tendano a lasciare quel lavoro per un impiego più “sostenibile” liberando il posto a un nuovo flusso di irregolari.

10 aprile 2008. Rivoluzione zafferano in cifre
In totale, ci sono state 227 manifestazioni in aperta opposizione al regime militare.
Nella sola giornata del 24 settembre 2007, più di un milione di persone sono scese in strada in 26 città della Birmania, per rivendicare il loro diritto alla libertà ed ad una vita migliore.#
Le manifestazioni si sono svolte in 66 città in tutto il paese, in tutte le sette divisioni ed in tutti i sette stati.# Finora, si stima che siano 3000 i manifestanti incarcerati. Questa cifra è comprensiva dei circa 1400 tra monaci e suore birmane.## Il 21 agosto, 13 dirigenti del Gruppo Studentesco Generazione 88 sono stati arrestati. In media, hanno già passato un terzo della loro vita in carcere. Nella sanguinosa repressione iniziata il 26 settembre sono state uccise più di 200 persone.# Il Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, attualmente in carica, sostiene che i morti siano stati solo 9. Nel corso delle repressioni, è stato ucciso un giornalista giapponese, almeno altri 5 giornalisti sono stati incarcerati, altri dieci feriti o malmenati.# Prima del 21 agosto erano 1158 i prigioneri politici nelle prigioni birmane.## Almeno 1000 persone sono scomparse nel corso della rivoluzione zafferano.##
Alle 11 del mattino del 28 settembre, la giunta ha disattivato l’unico server web pubblico del paese. Questo ha impedito ai birmani di comunicare con il mondo. La protesta aveva avuto inizio dopo che la Giunta militare aveva deciso di aumentare il prezzo del carburante del 500%.
Il 90% della popolazione birmana vive con meno di un dollaro al giorno.
(http://apppb.blogspot.com)

11 Aprile 2008. Un blog dall’Iraq
Pubblichiamo il diario di Sunshine, adolescente irachena che vive a Mosul, tratto dal suo blog.
Ho cominciato a frequentare lezioni private. Siccome è impossibile per noi andare a casa per mangiare, cambiarci e ritornare (la strada non è per nulla sicura e le nostre case sono molto lontane), abbiamo deciso di andare a casa dell’insegnante subito dopo scuola.
L’autista ha parcheggiato due isolati più lontano. Camminavo con le mie amiche, e c’erano i carrarmati per le strade. Sono passata vicinissima ad un carrarmato, l’ho guardato mentre passavo. Ero a meno di un metro di distanza, ed il mio cuore batteva all’impazzata, perché pensavo che qualcuno avrebbe potuto attaccare il carrarmato. Ad ogni modo, mentre mangiavo in macchina, ho cominciato a pensare… da questo momento comincia il mio lungo viaggio. Farò del mio meglio, prenderò ottimi voti, e continuerò a sperare che non succeda nulla di brutto. Devo continuare a concentrarmi, dimenticare la settimana appena trascorsa, devo “formattare” il mio cervello… dovrei anche rilassarmi, una specie di missione impossibile, per me…
Siamo arrivati quindici minuti in anticipo. Detesto arrivare tardi. L’insegnante è molto gentile, non ci vede bene, così ci siamo presentati, e lui mi ha detto: “Ti riconosco dalla voce, sei la ragazzina che mi ha chiamato per organizzare le ripetizioni, sì! Mi ricordo di te”.
Dopo la lezione, l’autista ci ha chiamato per dirci che il ponte era chiuso, così siamo rimasti un’altra ora a casa del professore ad aspettare. Eravamo così imbarazzati… però siamo riusciti a fare qualche compito lì.
Mercoledì è stata una bella giornata per me. Il mio professore di inglese ha portato un film, tutta la classe è andata in sala computer, ed abbiamo visto il film proiettato sul muro, come in un cinema vero… anche se il film non era granché non facevamo altro che ridere… chissà perché?! Eravamo molto emozionati, abbiamo visto Oliver Twist, lo stiamo leggendo dall’inizio dell’anno. Ci siamo divertiti un sacco… nessuno di noi era mai stato in un vero cinema, data la brutta situazione... mi serviva proprio una buona giornata, dopo tutto quello che è successo la scorsa settimana.
La settimana scorsa mi sono venuti molti attacchi d’asma, le minacce alla mia famiglia si sono fatte più serie, ma mio padre si rifiuta di lasciare Mosul anche solo per poco, finché la situazione non migliora…
Poi la mia amica M. ha perso la mamma, a causa di un’autobomba. E’ stata una tragedia scoprire della morte di sua madre... Ho perso tre chili nelle scorse due settimane. Non ho appetito. M. è proprio una ragazza sveglia, anche se un po’ restia ad aprirsi. Suo padre è scomparso da cinque anni, e sua madre, che è insegnante, si è dovuta prendere cura di lei e delle sue due sorelle (di diciotto e tredici anni). Ora M. è rimasta senza genitori, ha solo sedici anni...
M. è tornata in classe domenica e si è seduta in silenzio al suo banco. Noi ci lanciavamo dei cenni per farci coraggio ed andare a parlarle. Alla fine ci siamo radunate tutte intorno al suo banco; lei piangeva, le altre ragazze cercavano di calmarla. Io sono riuscita solo a dirle “siamo qui per te” prima di scoppiare a piangere. La mia amica mi ha preso in disparte, perché il mio comportamento non era per nulla d’aiuto. Sono riuscita a trattenermi quando Rita ha perso suo fratello, quando R. ha perso suo padre, ed in tante altre circostanze, ma non riesco a trattenere le lacrime quando vedo M. piangere. Mia madre è tutta la mia vita, non riesco ad immaginare la mia vita anche solo cinque minuti senza di lei, così tutta questa storia mi ha fatto quasi impazzire. Ho un mal di testa continuo, non riesco a studiare o dormire, non riesco ad avere una vita normale...
Ammiro molto il coraggio di M., continua a venire a scuola ogni giorno, a fare i suoi compiti, a dare gli esami, a prendere il massimo dei voti. Direi proprio che è un’eroina, per non aver ceduto alla tentazione di uccidersi, dopo la morte della madre.
Oggi è venuta a trovarmi Rita, hanno deciso di trasferirsi in un altro quartiere. Quando suo padre è venuto a casa nostra, non faceva altro che piangere, e ripetere “Non riesco a viverci più in quella casa, ogni angolo mi ricorda di mio figlio Raffi”. Sunshine
(livesstrong.blogspot.com/)

11 aprile 2008. Sicurezza
Quando si parla di sicurezza, capita di sentire persone di sinistra addurre l’argomento -sostenuto da dati- che le violenze in casa per mano di famigliari sono ben più diffuse di quelle per strada per mano di sconosciuti.
Così, alla signora che deve fare un tratto di strada, casomai al buio, per raggiungere casa, in una zona in cui, casomai, s’è diffuso nel frattempo un po’ di spaccio o di prostituzione, e che ha appena letto di una signora aggredita da qualche altra parte dell’Italia da un immigrato, noi cosa andiamo a dirle? “Signora le statistiche parlano chiaro, lei può stare relativamente tranquilla per strada, piuttosto diffidi di suo marito”.

12 aprile 2008. Operai rumeni
A Pitesti, Romania, dopo 19 giorni di sciopero, gli operai della Dacia, filiale rumena della Renault, sono tornati al lavoro. E’ stato infine siglato l’accordo con la direzione per un aumento del 28% sul salario di base. Un risultato ben lontano da quel 65% rivendicato, ma sufficiente, per il momento, a rimettere in modo le linee di produzione.
Alla manifestazione del giorno prima, che aveva riunito 2000 operai, tra gli slogan ne spiccava uno: “Romania, sveglia! Non vogliamo essere gli schiavi dell’Unione Europea”.
Il fatto è che, al di là del problema del livello di vita nei paesi neo-entrati in Europa, qui ad aggravare lo scontento paradossalmente è stato il successo della Logan, l’auto a basso costo della Renault che dal 2004 viene assemblata in questa filiale rumena (rilevata nel 1999) a ritmi incredibili. Nel 2007 sono stati prodotti 235.000 modelli e per il 2008 ne sono previsti 350.000. Ecco, i 14.000 operai rumeni nelle ultime tre settimane hanno rivendicato la loro parte in una tale crescita produttiva.
Gli operai, molti con un’esperienza ultraventennale, iniziano a esasperarsi: “Non possiamo permetterci le auto che costruiamo!”, si lamenta Gheorge Gheorghu, 40 anni, che in realtà una Dacia ce l’ha, ma il modello del 1986. E comunque il suo basso salario lo costringe ad andare al lavoro in autobus, la benzina costa troppo. Per non parlare della frustrazione di essere tuttora costretto a vivere coi genitori.
“Con la caduta del comunismo pensavo che avremmo raggiunto il vostro livello” ha confessato Gheorge a Benoît Hopquin, inviato di Le Monde, “con l’entrata in Europa la credenza si era rafforzata, invece siamo ancora molto lontani”.
La questione dei salari, immobili, a fronte invece di prezzi in rapida crescita, sta diventando drammatica. Ion Diacomescu, 42 anni, al montaggio da 24 anni, per mantenere la moglie e i due figli, alla fine della giornata di lavoro in fabbrica, prende e va a montare serramenti. Ion Nitu, 32 anni, di cui già 12 passati alla Dacia, dopo aver saputo qual è il salario di un operaio francese della Renault, racconta di essere rimasto a bocca aperta: “In Europa non si dovrebbe prendere un reddito diverso per lo stesso lavoro”.
Sono almeno tre generazioni che la fabbrica dà lavoro alle famiglie di Pitesti. I giovani però iniziano a soffrire di quella che vivono sempre più come un’ingiustizia e se il destino che spetta loro rimane quello dei loro padri e nonni, preferiscono andarsene.
Liviu Ion, 43 anni, responsabile della comunicazione del gruppo automobilistico, dice di comprendere benissimo la frustrazione. La gente oggi è come presa dall’urgenza di recuperare il tempo perduto sotto il regime comunista. Lui stesso aveva tenuto alla sua gente dei discorsi mirabolanti sull’entrata del suo paese in Europa. E oggi i rumeni vogliono vivere come i francesi. E’ normale.
Da parte sua la direzione della Dacia ricorda che dal 2003 al 2007 i salari sono aumentati del 140% e che una Logan nel 2004 “valeva” 38 mesi di salario contro i 19 di oggi. Il differenziale con gli operai francesi inoltre prima era di 1 a 16, ora non supererà il rapporto di 1 a 6. D’altra parte nel mondo ci sono altri sei paesi che producono la Logan, tra cui il Marocco o l’India, dove i salari sono ancora più bassi. E poi alle porte ci sono i moldavi che sarebbero ben contenti di essere assunti a quel prezzo. D’altra parte qualche impresa tessile rumena ha già assunto manodopera cinese...
(www.lemonde.fr)

16 aprile 2008. Hedge fund
I gestori di hedge fund, i fondi speculativi famosi per operazioni spericolate, stanno facendo profitti mirabolanti.
In base ad una graduatoria stilata dalla rivista specializzata Alpha, John Paulson, fondatore della Paulson & Company, l’anno scorso ha guadagnato 3,7 miliardi di dollari. James H. Simons e George Soros hanno guadagnato ciascuno 3 miliardi di dollari.
Gli investitori in hedge fund stanno di fatto ridefinendo la nozione di ricchezza, in qualche modo esasperando il gap tra i pochi ricchi e i milioni di americani in difficoltà con mutui, bassi salari e stagnazione.
Perfino a Wall Street, dove il denaro è da sempre la misura del successo, l’entità di tali profitti inizia a creare imbarazzo.
“Non c’è niente di male, non è illegale. Però è brutto” è il commento di William H. Gross, supermanager finanziario della Pimco (Pacific Investment Management).
Il trend in effetti è inquietante, gli investitori non solo accumulano ricchezze spropositate ma lo fanno con una velocità inverosimile. Per entrare nella Top list di Alpha l’anno scorso bisognava aver guadagnato almeno 360 milioni di dollari, 18 volte quanto richiesto nel 2002. Una famiglia media americana nel 2007 ha avuto un reddito di poco più di 60.000 dollari.
I 50 top manager di hedge fund, l’anno scorso hanno messo assieme qualcosa come 29 miliardi di dollari.
Gli investimenti spaziano dai mercati azionari d’oltremare alle speculazioni su petrolio, grano e rame. Alcuni, come John Paulson, hanno tratto profitti stratosferici investendo sul cosiddetto “credit market” (ossia fondamentalmente sui mutui e altre forme di credito). Alla fine del 2007 i suoi 6 miliardi di dollari erano diventati 28 con un guadagno superiore al 400%.
Nel suo “piccolo”, Soros ha guadagnato un buon 32% dal suo fondo Quantum, ovvero 2,9 miliardi. James H. Simons, esperto di decriptaggio per il Dipartimento della Difesa, grazie a un modello matematico ha guadagnato 2,8 miliardi di dollari. Il suo fondo Medallion gli ha fruttato infatti il 73%.
Con un combinato di 2 trillioni di dollari, l’industria degli hedge fund sta compiendo una vera impresa, soprattutto alla luce dei miliardi di dollari di perdite subite dalla maggiori banche di Wall Street.
“Una sorta di Las Vegas formato gigante” l’ha definita Gary Burtless, economista. Lo si vede dalla stessa graduatoria pubblicata da Alpha. Rispetto alla lista dell’anno scorso, qualcuno risulta assente, come Edward Lampert, fondatore della Esl Investments, o James Pallotta della Tudor Investment Corporation, il cui fondo invece ha perso l’8%.
Dal 1913, nella storia degli Stati Uniti c’è stato solo un altro anno in cui si è registrata una distribuzione della ricchezza così diseguale: il 1928.
(www.nytimes.com)

18 aprile 2008
Si propagano rivolte del pane. Si preparano rivolte dei benestanti?

22 aprile 2008. La sconfitta dei braccialetti
E’ per me veramente demoralizzante la questione dei braccialetti anti stupro. Mi spiego meglio, non mi interessa in questo momento da chi venga la proposta e quali siano le posizioni pro o contro. Sicuramente saranno utili, sicuramente bisogna trovare qualcosa di efficace subito. E potrebbe anche essere che io dica: vanno bene.
Certo intristisce molto l’idea che dopo tante battaglie, tante rivendicazioni, tante lotte, tante conquiste anche, tante prese di posizione a favore di una dignità propria che rifugga da riconoscimenti per legge (vedi quote rosa, naturalmente parlo per me), ci troviamo a dover chinare il capo ed accettare che comunque tutto questo non ci ha difeso, non ci ha “liberato” e messo “alla pari”. Dovremo difenderci mettendoci un marchio al polso: cioè siamo attaccabili, non dobbiamo essere rispettate solo perché così deve essere…
Siccome è un dato di fatto acquisito che si venga aggredite, si trovano mezzi per correre ai ripari e naturalmente sono mezzi di difesa, di protezione. Chi siamo non ci protegge…
E mentre qualunque possibile scelta di maggiore vigilanza dovrebbe andare a colpire chi aggredisce, questa ipostatizza noi donne al ruolo di “minori” sotto tutela, portatrici di un handicap… dove il nostro handicap è quello di essere non-maschi.
Ora, forse io potrò anche sopportarlo. Ho più di cinquant’anni, ho vissuto le battaglie di cui parlavo prima, so chi sono. E’ che il mio pensiero va, ad esempio, alla mia nipotina che oggi ha 7 anni. Cosa significherà per lei camminare e crescere con un laccio che le deve dare la tranquillità di vivere la sua vita, di passeggiare, di fare le sue scelte senza preoccupazioni? E perché lei sì e suo fratello no? Come riusciamo a spiegare questo alle nostre bambine?
(Rosanna Ambrogetti)

Errata corrige.
Nel primo pezzo degli “appunti” del numero scorso, per un refuso un “quando” è diventato un “quindi”.
Poco male se fosse solo per “l’italiano”, che diventa un po’ sgangherato. Ma si parla di un’eventuale scelta non violenta da parte dei palestinesi e “quando” dà l’idea appunto dell’eventualità, per nulla scontata, che facciano questa scelta. “Quindi” dava più l’idea di una consequenzialità, di una inevitabilità della scelta. Visto che ci siamo aggiungiamo: se l’avessero fatta tempo fa oggi forse avrebbero già ottenuto la tanto agognata restituzione dei Territori.