L’interruzione volontaria della gravidanza fu considerata delitto, in Spagna, fino al 1985 (se si eccettua un breve periodo nel 1937 sotto la Seconda Repubblica). Nel 1985 si modificò il Codice Penale e l’aborto venne depenalizzato in tre circostanze: rischio grave per la salute fisica e psichica della donna incinta; stupro; malformazioni gravi del feto. Da quella data, il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza ha sperimentato un notevole aumento, anche se si può osservare una certa stabilizzazione a partire dal 2007. Nel 2012, ultimo anno con dati ufficiali, si sono registrate circa 112 mila interruzioni di gravidanza, equivalenti a 12 aborti per 1.000 donne tra i 15 e i 44 anni, un tasso equivalente alla media dei paesi dell’Europa occidentale, più basso della media di altre regioni del mondo, ed equivalente al 20% del totale delle gravidanze. Il tasso più elevato si trova tra le donne di 20-24 anni, seguito dalla classe di età 25-29.
La legge del 2010 e il profilo sociodemografico delle donne
Nel 2010, venne approvata la Legge su Salute Riproduttiva e Interruzione Volontaria della Gravidanza, una legge tuttora vigente, che consente l’intervento entro le 14 settimane senza necessità di motivare la richiesta e nelle prime 22 settimane se esiste un grave pericolo per la vita e la salute della donna o il rischio di gravi anomalie del feto. L’interruzione può poi essere fatta in qualsiasi momento della gravidanza se un Comitato di medici designato dalle comunità autonome certifica che il feto soffre di una malformazione grave ed incompatibile con la vita. Al contrario di ciò che paventavano gli oppositori della legge, nel 2012 le interruzioni non solo non sono aumentate, ma sono anzi diminuite del 5%. Di queste, il 94% è avvenuto nelle prime 14 settimane (e il 68% prima della 9ª settimana), e le donne non hanno dovuto rendere pubbliche le motivazioni della richiesta. Benché il 68% degli interventi sia stato finanziato dalla sanità pubblica, la maggioranza (94%) di questi è stata effettuata in una clinica privata, poiché negli ospedali pubblici i sanitari tendono ad appellarsi all’obiezione di coscienza.
Se si opera un confronto tra il profilo sociodemografico delle donne che hanno interrotto la loro gravidanza e l’analogo profilo delle donne in età riproduttiva, possiamo concludere che l’aborto riguarda tutti gli strati della società, benché si osservi un’incidenza relativamente più alta tra le donne meno istruite e tra le immigrate, fatto rivelatore della carenza di prevenzione delle gravidanze non desiderate in questi settori della popolazione. Il profilo delle donne che hanno interrotto la gravidanza nel 2012 è anche eterogeneo rispetto alla situazione coniugale (il 49% in coppia) e alla biografia riproduttiva (il 55% aveva almeno un figlio); colpisce, in particolare, l’elevata proporzione, pari a un terzo del totale, delle donne che hanno dichiarato di non fare uso di anticoncezionali.
La nuova proposta di legge: maggiori vincoli, condizionamenti ed ostacoli
La controversa proposta di riforma della legge sull’aborto sostenuta dal Ministero della Giustizia, vuole eliminare la legge dei "termini”-con la quale la donna decide in merito all’interruzione della gravidanza senza dover giustificare la sua decisione fino alla 14ª settimana di gestazione- e tornare ad una legge dei "presupposti”, più restrittiva di quella del 1985. Il progetto di legge, il cui titolo è abbastanza significativo -Legge di Protezione della Vita del Concepito e dei Diritti della Donna Incinta- permette l’aborto nelle prime 12 settimane in caso di stupro (se è stata presentata una denuncia) e durante le prime 22 settimane se la gravidanza presenta un grave pericolo per la vita e la salute fisica e psichica della donna incinta. Si elimina la causa della malformazione, patologia o anomalia del feto incompatibile con la vita. Gli aborti effettuati per questo motivo riguardano una piccola percentuale del totale (circa il 3%), però la nuova normativa lascerà senza opzioni legali circa 3.000 donne (o coppie) che ogni anno decidono di interrompere una gravidanza -di norma voluta- per gravi malformazioni congenite del concepito.
Il progetto di legge recupera la motivazione del "danno psicologico” per la donna incinta proprio della legge del 1985, al quale si appellava la grande maggioranza delle donne (ben il 97% nel 2009), però instaura una procedura con più tappe, più complicata e più lunga. Due psichiatri (che non debbono però dipendere dallo stesso centro nel quale si realizza l’intervento) dovranno certificare che la gravidanza produce un danno "persistente” e "duraturo nel tempo” alla salute psichica della donna. Attualmente, la donna che decide di interrompere la gravidanza riceve dai medici un dossier con le informazioni circa le alternative all’aborto, gli aiuti alla maternità disponibili e i rischi dell’intervento, e deve avere una pausa di riflessione di almeno tre giorni prima di abortire. Con la nuova legge, questa pausa si allunga a sette giorni, e la donna dovrà ricevere consulenze verbali da parte dei servizi sociali ed ottenere da questi una certificazione. Le ragazze minori di 18 anni dovranno richiedere il consenso dei genitori per abortire (come avveniva prima del 2010). Nel caso di grave conflitto familiare, un giudice decide in merito. Attualmente, le interruzioni di gravidanza delle adolescenti riguardano il 5% del totale (5.672 casi nel 2012). La nuova legge, inoltre, proibisce la pubblicità delle cliniche dove si pratica l’aborto, amplia il diritto all’obiezione di coscienza nella sanità pubblica e impone pene fino a tre anni di carcere e sei anni di sospensione dalla professione ai medici che praticano aborti fuori del quadro legale. Non introduce però penalità per la donna che abortisce perché, secondo il Ministro della Giustizia, la donna è sempre una "vittima” dell’aborto.
In definitiva, saranno di nuovo i medici e gli psichiatri -con requisiti più stringenti rispetto alla legge del 1985, e con procedimenti più lunghi- coloro che decideranno se una donna possa interrompere una gravidanza non desiderata. Inoltre la consulenza obbligatoria da parte dei servizi sociali e la imposizione dei sette giorni di riflessione sono orientati a far desistere la donna dall’intenzione di abortire. Con questa "controriforma” la Spagna entra nel gruppo minoritario dei paesi Ue con leggi restrittive: Irlanda, Malta, Polonia.
Conseguenze negative della nuova proposta e restrizioni a doppio taglio
Oltre alla restrizione che la nuova legge impone all’autonomia e alla capacità decisionale della donna in merito alla maternità, si sono ignorate le conseguenze che questa avrà per la salute, considerando anche il fatto che alla redazione del progetto di legge non ha partecipato il Ministero della Sanità. Gli studi esistenti attestano che le leggi più restrittive non riducono il numero degli aborti, ma moltiplicano gli aborti al margine della legge, aumentando i rischi per la salute della donna. La nuova legge è un ritorno all’inizio degli anni Ottanta, quando le donne spagnole con più risorse viaggiavano a Londra e quelle con meno mezzi ricorrevano all’aborto clandestino. La differenza è che all’inizio del XXI secolo le possibili destinazioni straniere sono assai più numerose che negli anni Ottanta -la maggioranza dei paesi europei ha leggi assai permissive- e che le donne che decidono di interrompere la loro gravidanza senza uscire dal paese possono arrangiarsi per procurarsi il Mifepristona (Ru-486) e il Mysoprostol via internet e senza supervisione medica. Attualmente la Spagna è in coda ai paesi europei per quanto riguarda l’aborto farmacologico (13% degli interventi, contro il 50% in Francia e il 70% in Portogallo). Sia le donne che viaggeranno all’estero, sia quelle che ricorreranno all’aborto farmacologico senza supervisione medica spariranno dalle statistiche. Per le donne che invece seguiranno le procedure restrittive previste dalla nuova legge per dimostrare che la gravidanza non voluta suppone un danno permanente alla loro salute mentale, le molteplici barriere burocratiche imposte aumenteranno gli aborti tardivi e, conseguentemente, i rischi degli interventi.
L’opinione pubblica spagnola resta assai perplessa e non comprende le ragioni per una nuova legge: nei vari sondaggi fatti dalla stampa, circa l’80% dei cittadini risulta contrario al nuovo progetto di legge. Numerose società scientifiche e mediche come la Società Spagnola di Ginecologia e Ostetricia, l’Associazione Spagnola per la Diagnostica Prenatale, l’Organizzazione del Collegio Medico, la Società Spagnola di Psichiatria, hanno richiesto il ritiro della legge. Ma nonostante la mancanza di appoggio nella società, il progetto di legge è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nel dicembre scorso. Ora verrà sottoposto al giudizio di vari organismi e al dibattito parlamentare, per cui -in caso di approvazione- entrerà in vigore non prima di un anno. Tutti sanno bene che l’unica via per fare diminuire il numero degli aborti è evitare le gravidanze indesiderate e questo risultato si consegue unicamente con una buona educazione sessuale e migliorando l’accesso alla contraccezione. Senza dubbio tutta la strategia attualmente in vigore sulla salute riproduttiva resterà in sospeso se la nuova legge continuerà il suo cammino [*Consejo Superior de Investigaciónes Científicas, Madrid].
Pubblicato su neodemos.it con il titolo: "Il nuovo progetto di legge sull’aborto volontario”
Teresa Castro Martín sulla controversa proposta di riforma della legge sull'aborto in Spagna
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Articolo di Teresa Castro Martin
Tradotto da neodemos.it
Un brutto flashback
Per la rubrica “neodemos”, Teresa Castro Martín ci parla della controversa proposta di riforma della legge sull’aborto in discussione in Spagna.
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