Cari amici,
a noi piacciono i countdown. Non so se questo avvenga anche negli altri paesi, ma noi abbiamo countdown annuali: un continuo chiacchiericcio su quanto ancora manca al Natale o il conto alla rovescia sui Mondiali durato fino a che la competizione non ha invaso i gremiti locali notturni. Esiste perfino un gioco televisivo -una droga, per i telespettatori intellettuali del tardo pomeriggio- chiamato Countdown. Recentemente il conto alla rovescia che ha fatto più notizia è stato quello dei 100 giorni.
Si tratta dei 100 giorni precedenti il referendum sull’indipendenza della Scozia, che hanno conquistato la prima pagina perché l’inizio del countdown coincideva con le votazioni pubbliche sul disfacimento dell’unione, sullo scioglimento e sul taglio di nodi stretti; se ciò avverrà, ritengo che per gli inglesi sarà una tragedia. Questo mio sentimento non mi metterà certo in buona luce fra coloro che sono a favore dell’indipendenza. Perché mai la Scozia dovrebbe tollerare politiche governative che non ha mai votato o supportato? La Scozia è priva di conservatori, eppure lo zampino Tory si è spinto fin nella loro torta democratica.
La scrittrice J.K. Rowling, dalla cui penna, in un bar di Edimburgo, ha preso vita il famoso maghetto Harry Potter, si è impegnata a donare un milione di sterline alla campagna per il "No” al referendum, la cosiddetta "Better Together” (Insieme è meglio). Gliene sono grata: ritengo che la Scozia -lassù tra le serpeggianti formazioni rocciose in cima all’isola, il capo esposto al gelo dei forti venti e dei mari gelidi- sia una valida guida e un richiamo alla nostra parte migliore: una parte dal cuore generoso.
In passato abbiamo assistito a innumerevoli conflitti, atrocità, episodi di malgoverno e oppressioni, per non parlare delle decapitazioni e le uccisioni di eroi come la regina Maria Stuart e William Wallace, il leader dei ribelli, giusto per citare i più noti. Ci fu anche l’unione delle corone, avvenuta nel 1603, quando Giacomo VI, dopo la morte di Elisabetta I, che non aveva eredi, si diresse a sud per sedere sul trono d’Inghilterra. Giacomo aveva promesso agli scozzesi che sarebbe tornato ogni tre anni, ma non riuscì a farlo prima che ne fossero trascorsi 14. Giacomo vedeva l’unione come il matrimonio dei due regni: lo sposo porgeva il braccio alla sposa d’Inghilterra e Irlanda. Quell’atto di unione dinastica salvò la popolazione dal caos e dai conflitti che sarebbero seguiti alla successione.
L’Atto d’Unione entrò in vigore nel 1707. Il parlamento scozzese veniva fuso a quello inglese, e Westminster, a Londra, diventava la sede del potere. In Scozia circolava l’opinione che i parlamentari scozzesi che avevano firmato l’accordo fossero stati corrotti. L’atto apriva le colonie inglesi ai traffici scozzesi, offrendo opportunità economiche alla Scozia; ma fu a noi, gli inglesi, che andarono i benefici maggiori.
Non dimenticherò mai il grande fervore che provavo nel leggere dell’Illuminismo edimburghese della fine del XVIII secolo; avrei voluto infilarmi in una berlina e viaggiare indietro nel tempo per origliare le dissertazioni di David Hume sull’umanesimo in una taverna di Edimburgo, come membro della Select Society, insieme ad Adam Smith, magari davanti a un bicchierino di whisky. Era un’epoca di movimenti intellettuali al servizio del mondo moderno, la maggior parte dei quali si trovava nelle ampie e graziose strade di Edimburgo, in quella che era conosciuta come "la repubblica delle lettere”.
In età moderna, dobbiamo essere immensamente riconoscenti alla Scozia: sette dei nostri primi ministri erano scozzesi; il fondatore del partito laburista britannico, Keir Hardie, era scozzese; il miglior leader laburista che abbiamo mai avuto, John Smith, era scozzese. La Scozia è un crogiolo di bei discorsi franchi sulla giustizia sociale e le disuguaglianze, e nonostante ci abbia dato Tony Blair, chi potrebbe dubitare di un paese che ci ha donato la cantante Annie Lennox, donna di coscienza e compassione? Quando penso alla Scozia, penso alla chiarezza morale. Penso alla franchezza, al duro lavoro, alla verità e all’inventiva. Una piccola popolazione in una terra di monti, tempeste e mari; isole abitate da vigorose pecore che si nutrono di alghe e da comunità che difendono con passione i propri diritti. Se questa fosse una favola, se la Scozia ospitasse la coscienza del paese in un montagna sorvegliata da un dragone, questa non marcirebbe forse da qualsiasi altra parte? Non dico che in Scozia sia tutto perfetto. Gli scozzesi si trovano ad affrontare moltissimi problemi e sfide, ma hanno senz’altro il buon senso di pensare meno al singolo caso e maggiormente a chi veramente sono.
L’Inghilterra, senza la Scozia, sarebbe più piccola, in balia di una destra in ripresa ferma sulla nostalgica visione di un passato mai esistito. Perderebbe verità e chiarezza. Ecco perché questo countdown mi interessa più degli altri. Sto dalla parte di J.K. Rowling e David Bowie: vogliamo che la Scozia rimanga con noi, e non perché la Scozia da sola non ce la farebbe, ma perché non ci riusciremmo noi.
©Belona Greenwood
(traduzione a cura di Antonio Fedele)
Belona Greenwood, da Norwich, Inghilterra, ci parla dell’abitudine degli inglesi ai countdown
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Una Città n° 213 / 2014 maggio
Articolo di Belona Greenwood
Tradotto da Antonio Fedele
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Belona Greenwood, da Norwich, Inghilterra, ci parla dell’abitudine degli inglesi a fare conti alla rovescia, e del referendum per l’indipendenza della Scozia...
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